I giardini, ed a volte anche le semplici aiuole il venerdì diventano area da gita familiare per gli abitanti di questa città. Si riuniscono in gruppi anche essenziali, marito, moglie e un bambino, ed allestiscono un piccolo banchetto, stendendo una tovaglia sul piccolo frammento di terreno scelto. E’ il panorama umano che ci accompagna lungo il tragitto scelto per questa che anche per noi è giornata di riposo. Ai bordi delle strade, in prossimità di giardini o boschi, è un susseguirsi di macchine posteggiate ai margini e di gente indaffarata in questo momento comune di festa. Ci dirigiamo a poco più che cinquanta chilometri da Shiraz, dopo avere convinto con insistenza la compagnia, che ha già fatto lo stesso giro almeno sei volte, ad ogni nuovo arrivo, verso Persepoli. In mezzo alle montagne aride che circondano tutta la zona, Persepolis era la città costruita da Dario I e dal figlio Serse, una vera meraviglia dell’epoca, andata distrutta nei secoli per mani diverse. Per primo Alessandro Magno, che le diede fuoco, bruciando le parti in legno, e poi definitivamente, dopo la rivoluzione islamica, con la distruzione di ogni immagine che richiamasse l’antica religione Zoroastra, riducendo al minimo le parti intatte e conservate adesso malamente. Ci aggiriamo tra le rovine, risalendo la collina da cui si ha l’immagine completa della reggia di Serse, tra i turisti che comunque non mancano. Per lo più scolaresche, qualche immancabile giapponese (davvero), e iraniani, soprattutto, e per la prima volta da quando sono qui donne in niqab. Immaginare molto di quello che doveva essere, circa cinquecento anni prima di Cristo, quest’area e questa civiltà, pari per valore alle piramidi di Giza o all’Acropoli di Atene, mentre cova una certa rabbia per la solita stupidità di cui possiamo essere capaci.
Un saggio di stupidità
Rabbia che comunque mettiamo rapidamente da parte appena entrati in un ristorante, da consigliare come alternativa alla pizza del sabato sera o al solito Sushi.
Pochi chilometri dopo Persepoli, decisamente popolare, mi ha fatto definitivamente apprezzare la cucina e l’ospitalità farsi, soprattutto dopo che il proprietario ci ha deliziati con un bicchiere dall’apparenza innocuo, ma colmo (colmo) di qualche tipo di grappa locale, che il nostro tassista ha praticamente scolato, mentre ancora cercavo di capire di cosa si trattasse, con buona pace di precetti e mullah. Lasciandoci un minimo sospettosi sul ritorno, ma sul quale ha tenuto a rincuorarci subito dopo dicendo di essere un gran bevitore di vino, che ci avrebbe anche potuto segretamente fornire.
Riso e Zereshk
Ghaymeh, una zuppa di melenzane e carne
Noon, quando avvolge il formaggio e le erbe crude è...
Khoresht-e-Sabzi, il mio preferito della giornata
Il migliore dei tassisti che potessimo trovare insomma, anche perché prima di fare rientro ha deciso di portarci in un posto sicuramente meno noto, ma che sarebbe stato un peccato non vedere, Naqsh-e Rustam, alla tomba di Dario I, con queste tombe scavate nella roccia ad almeno venti metri dal suolo che mi hanno ricordato certe immagini da Indiana Jones e l’ultima crociata, mentre cercavo di coprirmi in qualche modo visto il vento gelido che cominciava a tirare.