La mia Monza Resegone

La Monza Resegone non è una gara come le altre. Il fascino di una storia che prosegue dal 1924 a fasi alterne ne ha costruito l’epica, che pervade tutti gli oltre quaranta chilometri di percorso. Te ne accorgi dalla partecipazione della gente lungo il territorio, che tra ali di folla di applaude, dai bimbi che ti chiedono il cinque ai margini della strada, dai vecchietti seduti fuori dalle proprie case, su sedie tirate fuori per l’occasione, come per ogni sacra festa paesana che si rispetti.
Ma é magica perché vive di confronto, di attesa e condivisione di un’obiettivo comune. Dicono che la corsa sia uno sport solitario, una sfida contro se stessi. Ma qui si corre in tre. Occorre conoscere chi ti sta accanto. Ed in questo siamo stati perfetti. Mauro é stato la sicurezza di chi non avrebbe mollato mai, dato il ritmo giusto, e mollato a me il giusto sganazzone durante i miei allunghi in pianura. Maura la certezza di un trattore che sai che sarebbe arrivata alla fine senza alcun cedimento. Non credo ce l’avrei fatta senza di loro.
Abbiamo corso i primi trenta chilometri fino a Calolziocorte al ritmo che ci eravamo proposti, un comodo 5:30 che ci avrebbe messo al riparo da carichi eccessivi. E poi é cominciata la vera Monza Resegone. La salita verso Erve, che già di giorno mette i brividi, con il suo strapiombo su quell’orrido, nella notte profonda e silenziosa rotta solo dai passi dei corridori, si é dimostrata già dura per me, che ho cominciato ad avere i primi cedimenti. Raggiunto il paese e superato, mancavano solo tre chilometri per raggiungere la cima di Capanna Monza, a 1170 metri, circa 600 metri di dislivello ancora da coprire. Il tratto più duro, una pietraia che puoi superare aggrappandoti ad ogni roccia e scalandola con le ultime forze rimaste, sperando nella spinta da dietro di qualche compagno. Li il freddo del bosco ha creato non pochi problemi al mio fisico ormai segnato, unendosi di tanto in tanto a qualche crampo. Abbiamo coperto quei pochi chilometri in oltre un’ora. E poi, infine, eccola lì Capanna Monza, nascosta ad ogni sguardo, il nostro traguardo. Gli abbracci e le lacrime, la stanchezza che trova ristoro.

Qualche minuto in infermeria per controllare la mia pressione scesa a minimi storici, e poi di nuovo giù a valle, dopo aver incontrato altri compagni d’avventura. Le luci dell’alba cominciano a spuntare tra le montagne e le chiacchere a raccontare le esperienze reciproche vissute quella notte. Un piadina, una birra ed é già ora di tornare a casa. In fondo sono solo le sette del mattino.


Che storia.
Credits @mabra.foto