Greta Thunberg mi parla

E mi dice che devo trovare un antidoto alla mia disillusione.

È soltanto che a guardare il mondo con sguardo laterale sono finito a guardare tutti di sbieco. Non è un bel vivere, lo ammetto.

Il mio destino era l’estinzione. tu sei nato per confutarmi

Decidere di avere un figlio e crescerlo ha, per qualcuno come me, l’effetto salvifico di salvarti da un mucchio di stronzate con le quali riempire la tua vita.

E’ complicato, ti lascia poco tempo libero, persino mutila certe carriere, o le rende complicate. Ma la verità è che ti costringe a potare tutto ciò che è superfluo per dedicarti a ciò che davvero ti interessa.

Me lo ha ricordato un articolo che mi ero appuntato ancora prima che nascesse Tatà, e che ho riletto qualche giorno fa. Mi è sembrato perfetto per descrivere la condizione di noi piccoli borghesi occidentali.

Se hai superato trent’anni e ancora aspetti che le cose inizino ad assomigliare alle assurde promesse in cui hai creduto, quello di cui hai davvero bisogno non è altro tempo per continuare a ripetere gli stessi errori: è una scossa che ti porti a farne di nuovi. Abbiamo avuto le nostre occasioni, le abbiamo giocate; ne abbiamo avute altre, abbiamo giocato anche quelle. Intanto ci diventano bianchi i capelli, si ammalano i nostri genitori e neanche noi ci sentiamo tanto bene. È tempo di andare avanti. L’idea stessa della paternità è bastata a mettere ogni cosa in una luce diversa, a relativizzarla. Mi ha regalato un momento di lucidità nel quale ho realizzato che nulla di quello che stiamo aspettando arriverà mai: è stata una rivelazione, una piccola apocalisse. Se l’alternativa alla paternità doveva essere il miraggio di una giovinezza eterna, deformata come il tatuaggio sulla pelle di un vecchio, allora io ho preferito fare ilbeau geste di rifiutare questo ricatto orchestrato dal mio Ego. Per uscire dalla sua trappola mi restava soltanto una soluzione estrema, ovveromettere al mondo qualcuno di più importante di me.