La Russia, Limonov, ed il libro che dovevo leggere.

Un esercizio che provo a fare ogni volta che per la prima volta mi trovo in un luogo così distante e del quale so così poco è cercare di capire il terreno nel quale mi muoverò, cercare d’afferrare qualcosa in più di quello che i miei occhi riescono a catturare.
Mentre la realtà può essere infatti monotona, se non hai tempo di approfondirla, le storie lo sono raramente.
Quasi casualmente mi sono imbattuto, poco tempo prima di partire, nella recensione di un romanzo di cui sembra si parli molto, apprezzato tra i migliori dell’anno appena trascorso.
Limonov, di Emmanuel Carrère è una biografia di un uomo dalle molte vite, ma è soprattutto un viaggio nella “russitudine”, nella storia di questa terra negli ultimi sessantanni, a cavallo tra socialismo reale, perejstroika, il veloce avvento del libero commercio, e la pseudo-restaurazione dell’era Putin.

Limonov, al secolo Eduard Savenko, nato in Ucraina nella primavera del ’42 è un personaggio difficilmente sintetizzabile, per cui non mi cimento in quest’impresa, se non citando le parole dell’autore:

È stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperado
 

Una vita vissuta al centro di un palcoscenico, muovendosi su una sceneggiatura scritta in prima persona, partendo da Char’kov, piccola cittadina nella quale si trova a trascorrere la sua adolescenza, in pieno stalinismo. Da li prende avvio la sua epopea, con l’amicizia di una piccola cricca di disperati, avvezzi a piccoli crimini, risse e colossali sbronze, le zapoj, come si dice da quelle parti,
dalle quali ci si riprende soltanto dopo qualche giorno e dopo molti cetrioli sottaceti.

Da li, alla ricerca di un lavoro, prende a vendere libri alle stazioni, fin quando non scopre di possedere un talento, apprezzato da molti, per la poesia, che per la prima volta gli consente di salire al centro dell’attenzione dei piccoli intellettuali della cittadina. Da li si muove a Mosca, dove frequenta gli intellettuali underground, tra dissidenti e collaborazionisti, sempre piuttosto tollerati dal regime.

Si innamora della bellissima Tanya, che lascia per lui una star del cinema, e con la quale decide di fuggire verso New York, ben consapevole che non potrà mai più tornare nella sua patria. Non sono tempi, quelli di Stalin, in cui sono ammessi ripensamenti, e i visti per l’espatrio non cosi facili da ottenere.
A New York tentano fortuna, lui come scrittore, lei come modella, attraverso esuli russi introdotti nei salotti più  importanti della città, quelli delle riviste Conde Nast, e di Vogue. Un illusione che dura poco.
In poco tempo giunge la fame, si separano, e lui disperato comincia a frequentare i bassifondi, diventando barbone, lasciandosi andare ad esperienze omosessuali, spinto dalla curiosità di provare tutto ciò che la vita può lasciarti provare.Da quell’esperienza verrà fuori il suo libro più scandaloso, “Il poeta russo preferisce i grandi negri”, che avrà successo soltanto qualche anno dopo, in Francia.
Ma ciò che interessa è che ha toccato il fondo, per l’ennesima volta. Da li rinasce, sfrutta il suo fascino e la sua cultura, diventa maggiordomo, fin quando il suo talento non viene notato da Evgenij Evtušenko, poeta suo connazionale, ospite del miliardario per il quale lavora. Si trasferisce a Parigi. Dove ottiene il successo, come scrittore e come giornalista, presso un giornale poco politically correct. Scandalizza i francesi ed i francesi lo adorano.
Arriva poi il suo periodo più controverso, l’infatuazione per il nazionalismo Serbo, durante la guerra dei Balcani, la fame di guerra, quella che suo padre non ebbe il coraggio di fare, e che lui insegue. Diventa amico di criminali di guerra, e in Francia viene mandato in onda un documentario in cui sembra che spari ad alcuni civili, quasi per scherzo. Ma di questo non è realmente sicuro nessuno.
L’ultima stagione è quella del ritorno in Russia, della fondazione del partito nazional-bolscevico, che mescola insieme la nostalgia per la grandezza dell’impero sovietico, il nazionalismo, le arti marziali, e la critica a Vladimir Putin. C’è destra e sinistra in lui, c’è il macho e l’omosessuale, c’è nichilismo e ribellione.

E’ comunque un eroe romantico. Con questa sua epopea, ed il giornale che fonda, un popolo di ragazzi dalle teste rasate comincia ad adorarlo. Ragazzi non facilmente classificabili come neonazisti, più spesso affascinati dalla cultura underground, loser di provincia, senza una direzione precisa su cui andare a parare, ma con bisogno di qualcosa in cui credere. Sono i Nazbol, come si definiranno, e Limonov è capace di intercettare la loro rabbia.
Si allea con il campione di scacchi Kasparov e con gli intellettuali (categoria che odiava, e a cui odiava di appartenere) nel fronte dissidente a Putin, nonostante questo sia quanto più vicino a lui di quanto lui sia disposto a credere. Auspica la rivoluzione e si candida alla presidenza della Russia, con scarsi risultati.

Un personaggio sempre dal lato sbagliato, contro-corrente per natura e per ego, ma coerente a suo modo, nell’inseguire una specie di caos, nel non accontentarsi della tranquillità. A tratti ti riconosci nella sua umanità. Come in carcere, dove resterà per due anni, dopo averne rischiati quattordici, incastrato dalla FSB. Dove si fa apprezzare dai suoi compagni di cella per l’umiltà con cui affronta la pena, nonostante ci si aspetti l’alterigia della celebrità, del prigioniero politico.
A tratti non ti meravigli di odiarlo.

Da uno come lui ti aspetteresti che finisse male, dopo aver rischiato di morire suicida, in guerra, o magari ucciso mentre rientra a casa, come Anna Politkovskaja. Ed invece, sembra quasi avviarsi verso una vecchiaia in cui sembra soltanto fingere di credere ad una rivoluzione che ha sempre auspicato. Una volta ebbe modo di dire che «se un artista non capisce per tempo che deve dedicarsi a qualcosa di più elevato di se stesso, come un partito o una religione, allora lo attende un miserabile destino fatto di sbronze, trasmissioni televisive, pettegolezzi, meschine rivalità, e per finire un infarto o un cancro alla prostata».

Sembra di leggere la descrizione di Giuliano Ferrara.


In ogni caso, la religione non l’ha ancora fondata, ma non saprei cosa attendermi per il finale dello spettacolo che ha saputo costruire intorno alla sua figura. Carrère ne traccia uno possibile, aiutato da una fugace discussione con lo stesso protagonista del suo racconto.
Fa riflettere, però, che da noi sia diventato improvvisamente famoso per un libro che ne racconta le gesta, e non per le azioni con cui ha dipinto la vita. 
Un libro, una biografia, che è un lavoro di ricerca impegnativo, certamente, viste le decine di libri scritti dal nostro Limonov, e i numerosi documenti reperibili, a volerli cercare.
Ma che riesce a condensare il tutto in una semplicità di linguaggio che ci fa accettare tutto, storie e luoghi, come la Transistria,
che pare venir fuori dalla fantasia di Tolkien e nomi di uominin di cui riusciamo di cui a malapena ad immaginare la pronuncia.
E’ stato un viaggio notevole, questa lettura, uno squarcio sulla società russa, i suoi angoli più grigi, ma forse più profondamente veri della natura di questa terra.
Una buona maniera per cominciare a conoscere questa parte di mondo.

Immersione nel bianco

L’attesa, poi, naturalmente, finisce. Prepari le valigie e ti dirigi verso l’eliporto, nel quale le procedure d’imbarco tendono ad essere estremamente complicate. Indosso tre maglie, una tuta pesantemente imbottita sopra la quale indosserò lo scafandro giallo, a tenuta stagna. La gomma posta alle sue estremità aderisce in maniera perfetta al collo e ai polsi. Devo fare qualche piegamento sulle ginocchia per fare uscire l’aria che è rimasta intrappolata ed evitare l’effetto palloncino con il quale potrei occupare più di qualche posto a sedere.

Da quassù, sull’elicottero, sorvolare il Mar Caspio, quella distesa infinita di bianco, risulta un’esperienza accecante. Quasi tutti chiudiamo gli occhi per respingere la riflessione naturale di quella superficie. Dapprima, vicino alla costa, guardo da vicino la steppa. Voliamo a bassa quota su una prateria sconfinata alternata ad acquitrini ghiacciati. La prateria poi lascia campo al ghiaccio, che in alcune zone prende la forma di una sottile pellicola accarezzata dal mare, leggermente deformata, dalla quale possono osservare il formarsi a bassissima velocità dell’onda.

In quasi quaranta minuti ecco spuntare all’orizzonte l’isola. Un atollo, a dire il vero. Il frangiflutti aperto agli angoli disegna una grande rettangolo, due isole satellite completano la costellazione, mentre al centro la grande isola, alla quale sono accostate grandi navi. Delle quali, immagino, conoscerò tanto nel giro di qualche giorno. Sarà in una di queste che dormirò, mangerò, su quasi tutte le altre passerò le mie giornate.

Sarà qui che, per questo febbraio, girerà il mio mondo.

(….picture are strictly forbidden)

L’arte dell’attesa

atyrau

Il senso della parola burocrazia probabilmente non lo puoi conoscere realmente fintanto che non passi da queste parti.

Uffici su uffici da cui passare, documenti da produrre, procurare. Nell’ordine mi hanno sottoposto ad un check medico completo, come forse avevo fatto solo per la visita militare , ho frequentato un corso sulla sicurezza elettrica, per due volte, un corso sulle emergenze, ed infine stamattina anche un esame orale, a cui nessuno dei miei precedessori si era mai sottoposto. E per il quale ho dovuto scomodare anche i miei genitori dall’Italia per cercare il documento di laurea, assolutamente necessario, almeno a partire da quando sono arrivato io. 

Spostato in un albergo dall’atmosfera decisamente diversa, gestito da Italiani, comincio a respirare l’aria tipica di questi luoghi. A pochi metri dall’albergo un parco giochi, di quelli che amano costruire certi architetti nelle zone popolari, è frequentato da gente che porta da mangiare ai corvi, mica ai gatti, mentre le giostre leggermente arrugginite suggeriscono alle mamme di non far avvicinare troppo i propri bimbi.

Il fiume Ural passa a pochi metri da qui, ed in questo periodo è totalmente ghiacciato, così tanto da vedere donne attraversarlo con le buste della spesa, ragazzi giocare ad hockey e qualcuno fare dei piccoli buchi dal quale infilare la lenza e provare a pescare. E’ un luogo davvero molto frequentato, con le coppiette che passeggiano sul lungofiume e qualcuno che fa jogging, come in qualsiasi altra città occidentale. Ho provato anch’io ieri sera, complice il clima più mite, a fare una corsa, per sentire che effetto facesse a queste temperature. Ho attraversato il fiume fino all’altra sponda ed al ritorno sono pure scivolato su una lastra di ghiaccio.

L’attesa, prima di poter raggiungere l’isola che non c’è, sarà lunga, a quanto sembra. Gli elicotteri volano di rado, qualche volta per il vento, qualche volta per la nebbia, per cui occorre trovarsi pronti con le condizioni climatiche opportune. Il tutto è gestito dal governo Kazako, ma rallenta notevolmente il turn over dei lavoratori, e del resto non esistono altre alternative. Le rompighiaccio non possono essere utilizzate in questo periodo, per il livello dell’acqua troppo basso. Esisterebbe anche la possibilità di usare degli overcraft, per i quali qualche anno fa venne costruito un grande hangar, mai utilizzato perché non consentiva un adeguato ritorno economico al governo, essendo di proprietà statunitense.

Del resto tutto qui gira intorno a questo progetto, e guai ad allontanare le mani da questa bella torta.

Visti da qui.

Non ho voglia di nascondere il mio senso di disagio per dovermi perdere anche queste elezioni. Ma del resto sarò qui, e il mio non è un lavoro dal quale possa esimermi, almeno adesso.

Però questo non mi dovrebbe impedire di osservare da qui quello che succede li in Italia.

Sono settimane nelle quali non sento parlare d’altro se non delle sparate di Berlusconi, che detta l’agenda elettorale, altro che Monti, e di un continuo gioco delle parti tra Pd ed il presunto centro.

Ed ho la netta sensazione che il Partito Democratico si stia facendo schiacciare in questa posizione subalterna senza aver avuto ancora la possibilità di esporre in maniera chiara il proprio programma. E lo sta facendo soprattutto per le proprie carenze comunicative, per l’incapacità di proporre ricette semplici e di facile presa nell’immaginario collettivo. Lo sta facendo perché non è in grado di imporsi nel dibattito senza saper parlare altro che di alleanze post voto. Ed in questo anche Pigi Bersani, sta giocando un ruolo centrale. Perché non può essere sempre colpa dei giornalisti che fraintendono quanto tu dici. Il punto è che certi argomenti non devono nemmeno essere affrontati adesso. Parla del programma, fatti aiutare da Renzi, se è il caso, ma per davvero. Ma non cadere nella trappola.

Piuttosto, quando sarà il tempo di governare, e se questo succederà, non occorrerà pensare a fare stare insieme Vendola e Casini. Occorrerà pensare di coinvolgere quanti saranno eletti nel movimento 5 Stelle, e saranno tanti, con un peso ben più rilevante. Cercando le proposte volta per volta che possano risultare accettabili, come sta facendo Crocetta in Sicilia. Del resto, quando saranno in parlamento, se mai vorranno dimostrare la propria autonomia da Grillo, dovranno pur dimostrare una credibilità che non può essere fatta soltanto di critica ed antagonismo. E su questo che si dovrà far pressione, in futuro. Con tutte le difficoltà che questo può comportare, e lo so bene, per ogni volta che mi sono trovato a discutere con questi integralisti.

Ma magari matureranno anche loro, un giorno.

28 giorni.

Tipico comitato d’accoglienza

Da quanto non scrivo qui? Parecchio, direi. Eppure ne ho fatta di strada quest’anno. Fisicamente passando per Shiraz, forse l’ultima volta che davvero ho avuto voglia di scrivere, poi New York, Istanbul, la Cappadocia, e poi di nuovo in Egitto, ad Alessandria, di nuovo in mezzo al mare. Ma non solo, perchè molto altro intanto è cambiato.

Ed adesso, nel giorno del mio compleanno, inauguro dall’atrio di un austero hotel da repubblica post-sovietica quelli che saranno i movimenti per l’anno appena cominciato.

Col freddo, appena sceso dalle scalette dell’aereo, che sembra in grado di bruciare la pelle. E l’Eurasia, che mi accoglie con lo sguardo da orientale di uomini col colbacco, mentre i miei pensieri si muovono sulla netta sensazione di non aver esattamente previsto un freddo così intenso. Uno strato di ghiaccio spesso qualche centimetro ricopre interamente ogni strada, sul quale già qualche italiano perde improvvidamente l’equilibrio.

Arrivo in hotel, ad Atyrau, quando qui è già notte, accompagnato da due ragazzi che con due parole d’inglese mi chiedono del Milan, e di Balotelli. Anche qui.

Metto disordine tra i miei oggetti riempendo la stanza d’albergo nella quale rimarrò per qualche giorno, almeno fin tanto che non avrò fatto ogni visita medica e ogni corso di sicurezza che mi consentirà di arrivare sull’isola che non c’è.

Neanche su Google Map.