Qui si continua a godere

E non si poteva che correre in piazza Duomo ieri sera, tutta dipinta d’arancio.
Non sono mai stato così milanese, non ho mai visto Milano sorridere così tanto all’unisono.

Siate folli, siate stupidi

Si può smettere di essere razionali, dopo aver già pedalato per due giorni, e quando l’ultima bici del giro, quella di Contador, passa davanti a te, le ammiraglie sfrecciano subito dietro e l’ultimo furgone annuncia con un cartello “Fine gara ciclistica”, lanciarsi con la tua bicicletta dietro di loro, percorrere il tratto che dai giardini pubblici “Indro Montanelli” portano fino al Duomo, mentre la folla intorno ti incita prendendoti forse anche per scemo, fare le ultime curve al massimo che puoi, sentire gridare il tuo nome, all’altezza di Piazza San Babila, dalla voce di un amico che casualmente si trovava lì e ti ha riconosciuto, girare tra le ultime curve mentre la strada si stringe e le guglie del Duomo ti si presentano davanti e sentirsi stupido, un pò folle e profondamente esaltato mentre la folla ti si chiude davanti senza farti raggiungere il traguardo con le braccie alzate.

Un’occasione irripetibile per quel gruppo di quattro stupidi faticatori.

Invocheranno l’infermità mentale

Che questi qui abbiano gusti musicali letteralmente pietosi non è neanche una novità, ma l’idea che portino a cantare in Piazza Duomo Gigi D’Alessio sarà senz’altro una di quelle bipolari trovate di cui è farcita questa campagna elettorale e che di sicuro non potranno che compiacere la conclamata voglia di contaminazione della base leghista, che insomma, dopo aver gridato a Roma ladrona vuole i ministeri a Milano e dopo aver dato del no-global a Pisapia adesso lo descrive come un candidato dei poteri forti. E’ la dimostrazione che probabilmente quando si parlava di bipolarismo avevano in mente tutt’altra cosa.

Nella temibile Via Padova

Che a Milano esista la sinistra ce ne siamo accorti da poco, chi da poco qui è arrivato. Ce ne  siamo accorti una settimana fa, ce ne siamo accorti, per dire, mentre posteggiamo la vespa ai bordi del ponte che da sul naviglio, in quest’angolo di Via Padova, e sentiamo cantare canzoni di partigiani. Ci avviciniamo per cantare insieme a loro “I ribelli della montagna“, mentre le sciure stanno sedute ai margini di questo capannello di gente e qualche altro fa richieste per canzoni che vorrebbe sentire. Si legge lo stupore, una meraviglia un pò ingenua, una melanconia per dei tempi andati, mentre da dietro campeggia un manifesto elettorale per il prossimo ballottaggio e ragazze portano fuori dalle loro borse arancioni volantini da distribuire ai passanti.
Ci si racconta di non lasciarsi prendere dalle illusioni, mentre nella tenerezza di quell’illusione mi sento come a disagio, come se mi muovessi in una festa fuori tempo, come se le parole dell’ardente settantenne che adesso ha preso il microfono predicassero nel vento a chi già sa. Mi stupisce questa capacità di parlare soltanto ai propri simili, che non sposta un voto, che non cambia nulla, come nulla ha cambiato in quarant’anni, mentre tanti suoi coetanei applaudono le sue parole.
Sembrano interessate, invece, le famiglie di questo quartiere multietnico, ferme ad ascoltare musiche di cui non conoscono la storia, ma in cui probabilmente riconoscono una forza, la stessa che riconosco nei loro sguardi, a volte così fieri. Fotografo qualcuno di quei volti mentre altri passano velocemente dietro di ritorno dalla gita della domenica e mi dico che questo è tutto ciò che un quartiere dovrebbe tornare ad essere, luogo di incontro e di passaggio, di storie e di partecipazione, l’unico modo probabilmente per fare ciance sull’integrazione, per appartenere ad un territorio conoscendolo, ed apprezzandolo. Penso questo mentre sull’ultima danza, una donna dalle gambe bellissime fa volare le sue scarpe ed il figlio, impacciato, cerca di copiare il suo gesto, riuscendoci, goffamente soltanto a canzone terminata, rubando così a noi l’ultimo sorriso della serata.

Ventitre Maggio Duemilaundici. Come una cicatrice che non si rimargina

Vox populi

No, perché ieri a Palermo, han fatto il gay pride.

Pro(t). Ad aver problemi, ma di quelli seri.

Improbabili discussioni in chat.

Me: se non fai nulla perché non trovi una serie di esercizi da fare la sera… tipo per i dorsali.
Lui: ecco il solito palestrato che pensa al fisico anche nelle ore di lavoro.
Me: pensa al fisico che pensa ai palestrati. Roba che neanche i Village People.
Lui: comunque stasera allenamento di nuovo.
Me: CERCA GLI ESERCIZI.
Lui: per il fisico, farei esercizi sulla termodinamica.
Me: preferisco la pura dinamica la termodinamica non mi ha mai appassionato, al massimo pro-porrei idraulica.
Lui: è più basilare la dinamica e noi siamo pro.
Me: Pro – to -tipi.
Lui: Pro -strati.
Me: Pro-lissi.
Lui: Pro -tetti.
Me: Io mi sento più pro-tette.
Lui: Pro -capite ovviamente.
Me: Dipende quanti pro-dotti ho in mano ma se vuoi faccio un pro-nostico.
Lui: Sperando che siano pro-ficui quelli che hai.
Me: Allora tu batti a mazze, pro-babilmente. si dice pro-ficae (che latinismo, eh).
Lui: Sono pro-nto.
Me: Fa una cosa, pro-gramma che è meglio.
Lui: Veramente è quasi ora di andare a pro-vvigionarmi.
Me: Pro-lunga questo tempo, perché prima dell’una non si va da nessuna parte.
Lui: Pro-testo, ho fame.
Me: Pro-va con i cracker nel cassetto.
Lui: Penso sia un pro-blema mangiare qui e non di la.
Me: Pensi possa dare pro-blemi alla pro-stata?
Lui: No ma è una pro-cedura che potrebbe creare molliche sul portatile.
Me: Dovresti usare un pro-iettore, per evitare questo.
Lui: L’hai tu un pro-iettore? Che pro-clami inutili che fai certe volte. mio pro-de, ti mancan le parole?
Me: Pro-metto che di pomeriggio te ne pro-curo uno, così uno-due.
Lui: Mi piace quando ti pro-dighi così premurosamente.
Me: Non so se è messo nell’armadio per pro-teggerlo (finirà questo vocabolario, no?).
Lui: D’altronde si tratta di un pro-dotto di valore. siamo pro-fani della lingua noi, tzé. ti sento pro-ferire parole con altri. Pensa a lavorare!
Me: Che Pro-meteo mi assista.
Lui: Non pro-fanare gli dei. o era un pro-feta? Cosa era?
Me: Si dice sia stato un Pro-tomartire (con questa ti ho steso).
Lui: Quant’è pro-fonda la tua cultura!
Me: Ma no, è tutta questione di pro-filassi.
Lui: Hai fatto grandi pro-gressi negli anni.
Me: Vedo pro-filarsi il Nobel.
Lui: Nessuno avrebbe da ridire ad un pro-fessionista come te. Pro-lungherei ad oltranza questa discussione, mi sto divertendo molto.
Me: Non vorrei pro-crastinare ulteriormente il mio lavoro però.
Lui: Potresti pro-lungare il tuo turno e pranzare dopo per recuperare 15 minuti.
Lui: Pro-vo un senso di vuoto dopo questa discussione. vuoto pro-fondo vuoto.

Gli esercizi, poi, non li ha trovati più nessuno.

Gotan Project, Milan

Solo per un attimo, concedetemelo

Siamo poi gente che ha bisogno di vittorie, o meglio, siamo un popolo che ha bisogno di vittorie, come direbbe Sofri nel suo libro. E così oggi è quasi un giorno di festa, con dei sorrisi che si aprono, in questa politica vissuta come un tifo da stadio, in cui un giorno così è un’occasione buona per indossare una polo rossa, anche se poi tutto è relativo, ed è ancora troppo presto. Ciò che importa e che per una volta le risposte su cui non riponevamo molte speranze, sono state smentite dalla realtà verso una direzione che non pensavamo di aspettarci, pessimisti come siamo diventati. Adesso, probabilmente, capiranno che non siamo poi gente su cui strategie da tea party possono funzionare, e che probabilmente l’antivirus verso certe grevità l’abbiamo già in noi, ed ogni tanto ce ne ricordiamo. Hanno perso in tanti, e farebbero bene ad accorgersene, ma loro, almeno abbasseranno i toni, comprensibilmente, e la Moratti si morderà le labbra su quella frase, a cui si è prestata, e che è anche solo il simbolo di una deriva evitata.
Pensavo a questo svegliandomi stamattina e controllando, con tocco scaramantico, che tutto fosse esattamente come ieri sera l’avevo lasciato. Aggiungendo questo a quei momenti di trascurabile felicità, come li definisce Francesco Piccolo in un libro letto poco tempo fa, e perso in qualche hotel poche pagine prima della fine. Ci pensavo constatando che, tra l’altro, quella domenica lì sarà si quei dei ballottaggi, ma anche quella della finale. Quella di coppa Italia, intendo.

Un futuro fantastico

Con lo sguardo esterno alle elezioni milanesi mi faccio un’unica domanda, che girerà come un tarlo nella testa di tanti fino ai risultati di domani sera. Mi chiedo se questi millantatori, mistificatori della realtà, capaci di farci credere che un tavolo è quadrato quando l’evidenza ci suggerisce che sia rotondo, saranno in grado di vincere ancora, imponendo una visione irreale, poggiata sui loro interessi. A seconda della risposta che ne verrà domani sera troveranno credito, giustificazione all’uso di mezzi sempre più fantastici ed allora vedremo asini capaci di volare, puttanieri diventare santi e santi rubare in chiesa, ed allora sarà davvero un futuro fantastico, uscito non dalla fantasia di un nuovo Walt Disney, ma da quella di modesti venditori di bufale a buon mercato.