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Qui si continua a godere

E non si poteva che correre in piazza Duomo ieri sera, tutta dipinta d’arancio.
Non sono mai stato così milanese, non ho mai visto Milano sorridere così tanto all’unisono.

Invocheranno l’infermità mentale

Che questi qui abbiano gusti musicali letteralmente pietosi non è neanche una novità, ma l’idea che portino a cantare in Piazza Duomo Gigi D’Alessio sarà senz’altro una di quelle bipolari trovate di cui è farcita questa campagna elettorale e che di sicuro non potranno che compiacere la conclamata voglia di contaminazione della base leghista, che insomma, dopo aver gridato a Roma ladrona vuole i ministeri a Milano e dopo aver dato del no-global a Pisapia adesso lo descrive come un candidato dei poteri forti. E’ la dimostrazione che probabilmente quando si parlava di bipolarismo avevano in mente tutt’altra cosa.

Nella temibile Via Padova

Che a Milano esista la sinistra ce ne siamo accorti da poco, chi da poco qui è arrivato. Ce ne  siamo accorti una settimana fa, ce ne siamo accorti, per dire, mentre posteggiamo la vespa ai bordi del ponte che da sul naviglio, in quest’angolo di Via Padova, e sentiamo cantare canzoni di partigiani. Ci avviciniamo per cantare insieme a loro “I ribelli della montagna“, mentre le sciure stanno sedute ai margini di questo capannello di gente e qualche altro fa richieste per canzoni che vorrebbe sentire. Si legge lo stupore, una meraviglia un pò ingenua, una melanconia per dei tempi andati, mentre da dietro campeggia un manifesto elettorale per il prossimo ballottaggio e ragazze portano fuori dalle loro borse arancioni volantini da distribuire ai passanti.
Ci si racconta di non lasciarsi prendere dalle illusioni, mentre nella tenerezza di quell’illusione mi sento come a disagio, come se mi muovessi in una festa fuori tempo, come se le parole dell’ardente settantenne che adesso ha preso il microfono predicassero nel vento a chi già sa. Mi stupisce questa capacità di parlare soltanto ai propri simili, che non sposta un voto, che non cambia nulla, come nulla ha cambiato in quarant’anni, mentre tanti suoi coetanei applaudono le sue parole.
Sembrano interessate, invece, le famiglie di questo quartiere multietnico, ferme ad ascoltare musiche di cui non conoscono la storia, ma in cui probabilmente riconoscono una forza, la stessa che riconosco nei loro sguardi, a volte così fieri. Fotografo qualcuno di quei volti mentre altri passano velocemente dietro di ritorno dalla gita della domenica e mi dico che questo è tutto ciò che un quartiere dovrebbe tornare ad essere, luogo di incontro e di passaggio, di storie e di partecipazione, l’unico modo probabilmente per fare ciance sull’integrazione, per appartenere ad un territorio conoscendolo, ed apprezzandolo. Penso questo mentre sull’ultima danza, una donna dalle gambe bellissime fa volare le sue scarpe ed il figlio, impacciato, cerca di copiare il suo gesto, riuscendoci, goffamente soltanto a canzone terminata, rubando così a noi l’ultimo sorriso della serata.