Se mi guardo intorno e mi sembra di essere dentro una di quelle immagini che ricordo su vecchi cruciverba della settimana enigmistica.
Piazze un po’ vuote, tristi, circondate da palazzi di architettura razionalista e nulla più. Se fermassi qui il mio sguardo vedrei davvero poco, nulla in grado di colpire la mia immaginazione.
Non c’è bellezza che ti stupisca quando entri a Latina.
Mi guardo intorno, cerco di capire. Nel tragitto verso il luogo di in cui lavorerò, un’azienda farmaceutica tra le tante che alimentano questo territorio, è solo campagna, coltivata fittamente.
Case coloniche di tanto in tanto, qualcuna rimessa a nuovo, qualcuna un po’ in rovina. Su di esse campeggia una sigla che non capisco. ONC. Passo oltre.
Entro in libreria, compro un libro. Voglio capire. Penso che è attraverso le storie che ci vengono raccontate, che viviamo, che leggiamo, che i luoghi prendono vita.
Nessuno del resto potrà capire la bellezza che tutti noi associamo a luoghi che per altri sono insignificanti.
E’ attraverso un libro che capisco il senso di questo territorio e la sua storia. Capisco che quella sigla non è altro che l’Opera Nazionale Combattente, l’ente
nato dopo la prima guerra mondiale e che si prese l’onere , durante il fascismo,di gestire la bonifica di questo territorio.
Case che furono le prime abitate da grandi famiglie provenienti dal Veneto e dalla Romagna, che lasciarono la fame delle loro terre d’origine
per il sogno di qualcosa che davvero non esisteva ancora. Di una promessa di prosperità, che costruirono con le proprie mani. Incontrarono per prima cosa zanzare, malaria e fango. Poi costruirono
n territorio dove prima non esisteva altro che un enorme acquitrino.
Guardando da qui vedo l’ampiezza di questa fascia di terra e capisco l’imponenza di un’opera di questo tipo. In fondo vedo le colline dei monti Lepini, con Sermoneta e Sezze. Il mare dista una ventina di chilometri.
Drenare, incanalare, sfangare. Costruire, modificare il mondo, come fanno gli uomini, piegando la natura, a volte infida, al potere dell’intelletto umano e alla forza delle sue braccia.
Per un istante riesco a comprendere perchè qui la nostalgia per il ventennio sia ancora così forte, ne percepisco il senso e forse lo giustifico.
D’altronde, ognuno “gà le so razòn” come direbbe uno di quei coloni veneti di un secolo fa.
Canale Mussolini. Parte Uno. Antonio Pennacchi. Mondadori, 2010