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Visti da qui.

Non ho voglia di nascondere il mio senso di disagio per dovermi perdere anche queste elezioni. Ma del resto sarò qui, e il mio non è un lavoro dal quale possa esimermi, almeno adesso.

Però questo non mi dovrebbe impedire di osservare da qui quello che succede li in Italia.

Sono settimane nelle quali non sento parlare d’altro se non delle sparate di Berlusconi, che detta l’agenda elettorale, altro che Monti, e di un continuo gioco delle parti tra Pd ed il presunto centro.

Ed ho la netta sensazione che il Partito Democratico si stia facendo schiacciare in questa posizione subalterna senza aver avuto ancora la possibilità di esporre in maniera chiara il proprio programma. E lo sta facendo soprattutto per le proprie carenze comunicative, per l’incapacità di proporre ricette semplici e di facile presa nell’immaginario collettivo. Lo sta facendo perché non è in grado di imporsi nel dibattito senza saper parlare altro che di alleanze post voto. Ed in questo anche Pigi Bersani, sta giocando un ruolo centrale. Perché non può essere sempre colpa dei giornalisti che fraintendono quanto tu dici. Il punto è che certi argomenti non devono nemmeno essere affrontati adesso. Parla del programma, fatti aiutare da Renzi, se è il caso, ma per davvero. Ma non cadere nella trappola.

Piuttosto, quando sarà il tempo di governare, e se questo succederà, non occorrerà pensare a fare stare insieme Vendola e Casini. Occorrerà pensare di coinvolgere quanti saranno eletti nel movimento 5 Stelle, e saranno tanti, con un peso ben più rilevante. Cercando le proposte volta per volta che possano risultare accettabili, come sta facendo Crocetta in Sicilia. Del resto, quando saranno in parlamento, se mai vorranno dimostrare la propria autonomia da Grillo, dovranno pur dimostrare una credibilità che non può essere fatta soltanto di critica ed antagonismo. E su questo che si dovrà far pressione, in futuro. Con tutte le difficoltà che questo può comportare, e lo so bene, per ogni volta che mi sono trovato a discutere con questi integralisti.

Ma magari matureranno anche loro, un giorno.

Questo è il mio bancomat.

Franco Maresco sta preparando un nuovo film. Dicono di aver bisogno di un contributo.
Ecco, prelevate pure.

Alla Bastiglia!

Un giorno i Siciliani si svegliarono, si guardarono in giro, e si resero conto di tutto quanto intorno a loro non andasse per il verso giusto. La benzina non arrivava più alla sua naturale destinazione, le autostrade erano bloccate, i mercati vuoti e   della gente con dei forconi pacatamente faceva notare quanto tutto questo non fosse più ammissibile.

Una terra così naturalmente ricca, geologicamente, morfologicamente e, diciamolo, umanamente, era stata da troppo tempo sfruttata ignominiosamente da gente che, restando su scranni lontani, aveva arraffato tutto a se contribuendo a costruire granello per granello, le dune di quel deserto che adesso faceva da panorama ad ogni scorcio della Sicilia.

Ne cercavano le cause, e si chiedevano come mai non fosse bastata la forte contrapposizione esercitata in quegli anni, quell’esercizio continuo di resistenza verso quelle forze meschinamente avverse.  Nei bar ci si toccava di spalla ricordando tutte quelle volte in cui avevano rifiutato di saltare una fila in ospedale per la visita medica per la propria madre malata, nonostante conoscessero personalmente il primario. Raccontavano di quando distribuivano buoni pasto ai mercati rionali ma loro preferirono rifiutare quell’indegnità e piuttosto preferirono spezzare il poco pane che avevano in quattro parti. Qualcuno raccontava di quanto fosse stato difficile rinunciare all’aiuto offerto dal compare, onorevole all’Ars, per sistemare adesso quel figlio che era costretto a vivere a Basiglio, in provincia di Milano, tremante dal freddo.  Pensavano a quanto cercarono in ogni modo di fare a meno dell’assegno di disoccupazione, con cui potevano benissimo campare (grazie anche pensione del nonnino che strenuamente resisteva ancora) lavorando soltanto 151 giorni all’anno. Il panettiere del paese pensava a tutti quegli scontrini puntualmente emessi, e tutti, più genericamente, si interrogavano sul perché di quella situazione. Ricordavano tutti un 61 a zero nelle elezioni recenti, ma pensavano a chissà quali brogli avessero consentito quella vittoria schiacciante, giacché non conoscevano nessuno così stupido da votare per chi non aveva mantenuto una promessa che fosse una in più di cinquantanni.
Arrivarono alla conclusione che il problema non potesse essere in loro, e allora si misero a cercarlo altrove. Guardarono  a quei politici regionali, brutta gente, messi in quella posizione da chissà chi. Pensarono a Roma, che non aveva mai sganciato un euro che fosse uno per loro. Pensavano all’Europa e a quei fondi FAS che dicevano sarebbero arrivati e chissà come non arrivavano mai, dispersi chissà dove. Chissà da chi.

Si unirono allora a quelle proteste così veementi, e guardarono ai tg nazionali, che dopo due ore dall’inizio delle manifestazioni, non avevano dispiegato tutte le proprie forze per assistere alla straordinarietà di un popolo che finalmente si ribella. Mostrando un servilismo del quale avevano un’ulteriore dimostrazione. Si resero conto che la misura era colma, e che avevano proprio bisogno di alcuni arruffapopolo per smuoversi finalmente dal letargo, e mirare nella direzione giusta, qualsiasi essa fosse. Anche a costo di spostare l’isola lontano dai radar che la ponevano all’interno di quel mondo, e dei suoi casini, di cui non si ritenevano parte. Degni abitanti di un paradiso violato.

L’aria nuova, con i piedi nel fango

Chissà per quale strana coincidenza, stamattina mi sono ritrovato ad ascoltare questa vecchia intervista di Pippo Fava. Era probabilmente nell’aria che sarebbe stata una giornata complicata, e che dopo qualche mese di inaspettata aria nuova, qualcuno ci tornasse a ricordare con forza in che mani siamo.

Qui si continua a godere

E non si poteva che correre in piazza Duomo ieri sera, tutta dipinta d’arancio.
Non sono mai stato così milanese, non ho mai visto Milano sorridere così tanto all’unisono.

Solo per un attimo, concedetemelo

Siamo poi gente che ha bisogno di vittorie, o meglio, siamo un popolo che ha bisogno di vittorie, come direbbe Sofri nel suo libro. E così oggi è quasi un giorno di festa, con dei sorrisi che si aprono, in questa politica vissuta come un tifo da stadio, in cui un giorno così è un’occasione buona per indossare una polo rossa, anche se poi tutto è relativo, ed è ancora troppo presto. Ciò che importa e che per una volta le risposte su cui non riponevamo molte speranze, sono state smentite dalla realtà verso una direzione che non pensavamo di aspettarci, pessimisti come siamo diventati. Adesso, probabilmente, capiranno che non siamo poi gente su cui strategie da tea party possono funzionare, e che probabilmente l’antivirus verso certe grevità l’abbiamo già in noi, ed ogni tanto ce ne ricordiamo. Hanno perso in tanti, e farebbero bene ad accorgersene, ma loro, almeno abbasseranno i toni, comprensibilmente, e la Moratti si morderà le labbra su quella frase, a cui si è prestata, e che è anche solo il simbolo di una deriva evitata.
Pensavo a questo svegliandomi stamattina e controllando, con tocco scaramantico, che tutto fosse esattamente come ieri sera l’avevo lasciato. Aggiungendo questo a quei momenti di trascurabile felicità, come li definisce Francesco Piccolo in un libro letto poco tempo fa, e perso in qualche hotel poche pagine prima della fine. Ci pensavo constatando che, tra l’altro, quella domenica lì sarà si quei dei ballottaggi, ma anche quella della finale. Quella di coppa Italia, intendo.

Ed è già sei Aprile

“«Bunga bunga» è il suono di decine di milioni di teste italiane che sbattono contro il muro, disperate.”
Così Severgnini sul Corriere un paio di giorni fa.

No, non è colpa del fuso orario, però sono ancora qui in attesa della nave che mi porterà verso un punto sperduto del Mediterraneo, quando il mare sarà più calmo, ed ho un mucchio di arretrati da leggere.

Serietà al potere

Leggendo questo pezzo da un blog che sto apprezzando ultimamente:

Penso solo che tutta la realtà parallela che si informa con Striscia la notizia, fa inchiesta con le Iene, si scompiscia dalle risate con Zelig e con la Gialappa’s, pratica tecniche di onanismo manuale con i Grandi Fratelli di ogni età e ti minaccia con il Gabibbo sarebbe da spegnere, una volta per tutte.

Ho avuto la sensazione, già percepita peraltro, che l’innesto di una possente porzione di presunto anticonformismo nella cultura di massa abbia portato ad un’inversione dei ruoli per cui, quelli che vivendo in un’altra epoca avrebbero inneggiato alla fantasia al potere adesso bramerebbero per la compostezza di un ragioniere o più generalmente per avere una certa dose di serietà al potere.

Vane speranze

Come ho già detto altrove, quando ho sentito parlare del vecchio rimorchiatore Italiano nelle mani dei libici ho subito sperato parlassero di lui.