Sarà la prima volta che non andrò a votare.

[Luci della centrale elettrica dixit]

Sarà la prima volta che non potrò votare, Palermo è lontana, e posso avere soltanto una residenza per volta. Ma la testa è rivolta li, come sempre. Fossi stato lì, sarei stato obbligato a scegliere, ma questa condizione di parziale spettatore mi ha evitato una scelta difficile. Ferrandelli e Orlando se le sono date di santa ragione in questa campagna elettorale, ed avrei molto da rimproverare ad entrambi per ragioni diverse. Rimprovererei ad Orlando l’incapacità nel rendere servizio alla città senza essere sempre e comunque protagonista, quando la sua esperienza poteva essere messa al servizio di qualche volto nuovo, in quell’auspicato desiderio di rinnovamento che cova nell’elettorato intero. Ma questo è un discorso intero e ritrito su una generazione che continua a non volere lasciare la prima pagina dei giornali, a non volere lasciare le posizioni che contano.

Rimprovero a Ferrandelli certe amicizie pericolose di cui si è vociferato in questi mesi, un atteggiamento ecumenico e trasversale da politico consumato, diverso per molti aspetti da quello che ricordavo all’inizio del suo percorso politico.

Degli altri non ci sarebbe neanche da parlarne, anche se questo continuo darsi la zappa sui piedi potrà portare qualche volto di un rinnovamento di plastica verso la poltrona di sindaco. Sicuramente potrà far bene Nuti ed il M5S, ma non sarà sicuramente il voto di questi due giorni a cambiare il volto di Palermo, soprattutto perché le risposte che dovranno venire dal prossimo sindaco non saranno quelle che la maggioranza dei Palermitani si aspetta. Un lavoro, una sistemazione per il figlio, domande che dovranno (sarebbe il minimo) rimanere inevase, nonostante le promesse di questi mesi.

Ma i miei sono occhi che guardano da lontano, ed i pochi giorni trascorsi nelle scorse settimane per le vie della città mi hanno riportato ad un atteggiamento di sconforto. Quando uscendo dalla metropolitana ho visto sui manifesti elettorali volti che ricordavo per le strade del mio quartiere a far passare il tempo in maniera più o meno lecita, quando ho visto il volto più pulito (soltanto perché non passato dal carcere almeno lui) di una acclarata famiglia mafiosa del quartiere candidarsi alla circoscrizione, ho capito che la fiducia nella capacità dei miei concittadini di fare scelte lungimiranti stanno a zero.

E disaffezione alla politica e sconforto generalizzato di molti onesti cittadini daranno libero spazio al peggio che la politica possa produrre. Sarebbe un peccato, visto che le energie non mancano, come quelle che raccontavo qualche tempo fa, come quelle del Teatro Garibaldi occupato, in questi giorni.
Buona domenica Palermo.

p.s. Rubando l’idea a Moby Dick, la migliore trasmissione musicale degli ultimi anni, ho raccolto una playlist palermitana.

Inghiottito dalla montagna

Uno degli aspetti più positivi del lavoro che mi ritrovo a fare è senz’altro la possibilità di visitare posti che altrimenti non avrei modo di conoscere, di vedere. E non parlo di Iran, del Delta del Niger, o dei venti giorni al largo dell’Egitto, ma anche di posti a pochi passi eppure inaccessibili. Perché spesso valvole, motori e pompe stanno dislocati in pochi ameni ed anche piuttosto tristi, mentre altre volte ti trovi ad andare a cercarle all’interno di una montagna.

Sulle Dolomiti, nei pressi di Peio, per dire, esiste una centrale idroelettrica costruita a duemila metri di altitudine, poco più di ottant’anni fa. Ti inerpichi per strade strettissime fino ad arrivare alle sue porte, e quando ti appresti ad entrare ti rendi conto di essere ancora a metà del percorso. Perché ti trovi davanti un trenino giallo, ed un tunnel. Da li il trenino infatti sale per seicento metri ancora in altitudine, su pendenze diverse, tanto che i seggiolini su cui mi siedo sono costruiti in maniera tale da basculare e tenerti in equilibrio. Il tunnel è  stretto giusto quanto basta per passarci dentro, scavato a mano, a colpi di picozze e dinamite, da uomini talpa, le cui giornate devono essere state lunghe a passare.

[il video, di un tratto di risalita Centrale di Malga Mare.mov]

 Il cane del custode si è accomodato nella cabina tra di noi, ed è il primo ad avvertirci di essere arrivati su un cima, alzandosi dal suo posto e aspettando l’apertura delle porte.  A duemila e seicento metri stanno gli operai, la centrale operativa, ed i tecnici a cui chiedo di poter guardare immediatamente la diga, e le Dolomiti.

Sto li soltanto per qualche minuto, e poi di nuovo dalla cabina al centro della montagna, dove ci fermiamo. Camminiamo in un tunnel nel quale passa una condotta dell’acqua che dalla diga viene spinta giù fino alle turbine, anch’essa della stessa epoca, sforzandomi di immaginare lo sforzo che debba essere stato trasportare e poi chiodare quelle tubazioni in quelle condizioni.

 Ci fermiamo li, dove tra stalattiti ed umidità ci troviamo a lavorare per qualche ora, illuminati e riscaldati giusto da qualche lampada alogena, cercando di far girare bit nel modo più corretto e discutendo del sudore e della fatiche che quelle rocce devono aver assorbito, qualche tempo fa.

Le turbine, a fondo valle