Prega uomo, prega.
Quando sembra l’ultima risorsa, prega. Quando hai dimenticato chi pregare, prega.
Anche se hai smesso di cercare, prega.
Odia e prega.
Prega e odia.
Perché è naturale odiare, sputare in terra, maledire. Perché è la tua bocca a chiederlo, e la tua rabbia a ribollire.
Non c’è nulla da nascondere, dopotutto è solo rabbia ed un temporale.
Per il quale non ti resta che pregare.
Non è che non voglia più scrivere. Anche se la distanza tra un post ed il successivo tende ad estendersi senza sosta, mi esercito continuamente nel comporre frasi che abbiano un senso compiuto, che diano una linea di condotta al pensiero, che però raramente tornano però ad aver voglia di occupare questo spazio.
Si fa spazio la sensazione fastidiosa che un brusio inutile affolli le giornate senza regalarne il minimo surplus, ed al quale sarebbe opportuno sottrarsi. Ché nei messaggi di stato si annidi l’animo di questo guazzabuglio che chiamiamo società, con la sua necessità costante di veder esposta in prima pagina la propria esclusività, originalità, banalità.
E quindi vien da chiedersi se non sia il caso di smetterla con tutto questo rumore inutile, quando oltretutto non spicca per originalità o per sagacia.
Eppure l’ottuso senso di responsabilità che lega ad un blog è difficile da sradicare, e l’abitudine a raccogliere pensieri, seppur diradati, la sto perdendo malvolentieri.
Potrei dirvi che per scrivere occorre pensare, ma aver la testa in aria non è più molto consigliabile. Potrei dirvi che la scrittura richiede silenzio, perché un blog è uno spazio di scrittura che si riempie in maniera inversamente proporzionale al piacere od anche solo al numero di coloro con cui puoi condividere pensieri. Potrei dire che sarebbe meglio riempire questi spazi di progetti più concreti.
O potrei anche solo dirvi che è davvero difficile provare a scrivere su una tastiera insulsa quanto questa, o anche quando provi a farlo da una tastiera inesistente.
Ma in fondo, un blog è solo una scialuppa di salvataggio per qualche pensiero più coraggioso, e come tale è bene che rimanga ciò che è.
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. (Gabriel Garcia Marquez)
A guardare le immagini da Marassi (no, non queste), con quel indomito imbecille a cavalcioni nelle inferriate a tagliare la rete e ad incitare i suoi connazionali, sembrava che ai commentatori Rai interessasse soltanto del fischio d’inizio. Collovati, in particolare, sembrava contare i minuti prima di guadagnare questi tre punti senza faticare, neanche dovesse tornare a giocare, magari senza ritrovare quella parrucca che portava quando dava ancora calci al pallone.
Che poi, vedere la polizia così impotente, era del tutto surreale. Genova, così assennati,
non ce li ricordavamo.
Ed in tutto ciò, speriamo sia davvero posteggiata in qualche carruggio ben nascosto, la Punto di Silvia.
Accadrà che torni a scrivere.
Un blog che è già carta straccia