Immagini non montate/1

Harlem

h15.40 11/03/2012

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/Claustrofobico

Dopo una decina di giorni la sensazione di diffusa normalità lascia spazio ad una specie di pesantezza di fondo che accompagna le giornate. Si continua ad uscire ogni sera, per la cena nei ristoranti della città, si passeggia per le strade come sempre, ogni sera, ma la percezione è quella che si stratifica racconto dopo racconto dalle loro bocche e che ti fa venire solo voglia di respirare.
Il traffico è sempre così caotico, ed adesso so il motivo. I ragazzi girano tanto in macchina, per mancanza di alternative, ma anche perché è molto più semplice stare a contatto con la macchina di fianco e parlare con qualche ragazza conosciuta in un locale, che fermarsi a discutere sul viale principale. E’ una questione di mimetizzazione, per sfuggire al controllo della polizia religiosa.
In albergo provo a chiedere un decoder, giusto per guardare qualche canale internazionale. Ma mi dicono che le stanze che possono avere il decoder sono limitate, e sono tutte occupate. Sono quelle con il terrazzo, nel quale è più semplice nascondere la parabola. Occorrerebbe passare un cavo da li fino alla mia stanza, ma non ne vale la pena, dico io.
Una notte mi sono svegliato di soprassalto, come dopo un’incubo. Avevo sentito varie storie durante il giorno. Amin mi aveva raccontato della volta in cui fu arrestato per cinque giorni solo per aver fatto qualche foto durante una manifestazione. Poi, su twitter, aveva preso a seguirmi un giornale locale, e li si sa che tutti i giornali sono filogovernativi. Mi era presa una tale ansia che di notte ho acceso il pc e ho nascosto tutti i miei inutili post, pubblicati fin li.
Nel parlare con loro cercavo di capire quali fossero le loro sensazioni al sentire le voci dell’intensificarsi della situazione, ma mi rispondevano tranquilli, come se fossero talmente abituati a questa sensazione da non farci neanche più caso. Non era così, ovviamente, visto che l’idea di andare via da quel paese per qualcuno era già stata valutata e considerata come prossima.
Alla mia partenza, lunedì li prendevo in giro pensando alla birra che avrei bevuto la sera successiva, e vagheggiavamo sul modo per poterla infilare in valigia aggirando ogni controllo.
Dopo un po’ c’è ne è abbastanza da far venire voglia di anarchia, anche di quella, tutto sommato normale, di casa nostra.

p.s. Adesso sono davvero tornato a casa. Ed il titolo che ho dato a questi post, non era un del tutto casuale riferimento ad un libro visto spesso in biblioteca e mai letto. Era anche legato al fatto che l’ho davvero letto “Colazione da Tiffany”, uno di quei libri che trascuri sempre per quei preconcetti che ti porti dietro, fin quando incontri qualcuno che qualche mondo nuovo te lo fa scoprire. E poi, per non farmi mancare nulla, ho anche visto per la prima volta il film.
Ecco, quello me lo potevo evitare.

Il resto delle foto sono qui.

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/All’interno della moschea

Venerdì, il giorno delle elezioni al parlamento, sono entrato dentro una moschea. La più grande di Shiraz. Tra le file tra i votanti e le voci che si alzavano per la preghiera, dopo qualche esitazione iniziale, per via del fatto che in quelle situazioni non sai davvero come comportarti sono riuscito a scattare qualche foto nonostante che, come raccontato qualche giorno fa, la macchina fotografica era stata consegnata ai responsabili della sicurezza. A togliermi dall’esitazione è stato Said, il mio accompagnatore, che per primo ha preso il mio cellulare e ha scattato la prima foto. Poi mi sono fatto prendere la mano e, cercando di non essere troppo appariscente nei movimenti, qualcosa che racconta ciò che non mi sarei aspettato di vedere, sono riuscito a mostrarlo in queste foto, elaborate poi con qualche filtro di Hipstamatic per renderle più interessanti.

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Anche se la situazione era tranquilla, nulla si può ritenere realmente tale da quelle parti, come ho capito nei giorni trascorsi qui.

E non mi stupisco quindi che  oramai qualche servizio di reportage venga fatto in questo modo, soprattutto da zone di guerra, dove avere una fotocamera in mano ti rende bersaglio facilmente individuabile.

Roofoo Gary, i riparatori di tappeti


Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/Le elezioni farsi(a)

Le cose che ho imparato nel giorno delle elezioni al parlamento sulla (presunta) Repubblica Islamica Iraniana sono:

– che il Porcellum qui è applicato dal giorno della rivoluzione. Nessuno può essere candidato senza passare al vaglio di un “Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione”, altro che segreterie dei partiti;
– che qui esistono tanti partiti, ma sono tutti blu. Esiste un blu chiaro, un blu scuro, e mille altre varianti. Ma sempre di blu si tratta. Il rosso, il bianco, non esistono. Ed in questo non vedo nessuna attinenza con sinistra, destra, sinistra che viene accusata di essere destra e così via.
– Che qui non si imbrattano le città con affissioni abusive. Non ce ne è bisogno. Fino a qualche giorno fa non te ne rendevi neanche conto di essere a pochi giorni dalle elezioni. Poi, una sera, il traffico bloccato e dei ragazzi che sventolavano le bandiere per strada in corrispondenza di un comitato elettorale. Poi le immagini si sono moltiplicate, ed il candidato era spesso mostrato a braccetto con Khamenei, come se non fosse già abbastanza chiaro l’appoggio.
– Khamenei è ovunque, sui cartelloni, sui muri, più che ogni altro candidato.

– A votare va poca gente. Della gente che conosco tutti hanno boicottato le elezioni, ritenendole ovviamente inutili.
– Non si vota con la classica matita. Me lo sono fatto spiegare vedendo spesso questo cartellone oggi:

Con qualche specie di inchiostro imbrattano un dito con cui poi imbrattano la scheda elettorale. Non credo crei maggiori possibilità di brogli rispetto alle nostre matite, ma mi è sembrato quanto meno curioso, quasi fosse una sorta di schedatura all’uscita dal seggio.

– Sono riuscito ad entrare in una moschea, la più importante della città, proprio oggi. Mi hanno tenuto in consegna la macchina fotografica, naturalmente. Un luogo che mi ha lasciato senza fiato. Tappeti distesi nell’aria centrale con bambini che ci rotolavano su, donne che discutevano, qualcuno che pregava. E poi la moschea, su due ali di questa immensa piazza, all’interno un labirinto di specchi sulle pareti e sul soffitto. Una parete che separava la zona maschile da quella femminile, con le voci che si scontravano creando un effetto oscuro. Quando siamo usciti, con gli occhi rivolti verso l’interno e quindi i passi ripercorsi all’indietro, ho chiesto per cosa fosse la lunga fila che vedevo su un lato, con le telecamere fisse puntate su di essa. Gente che va a votare, mi hanno spiegato. Perché qui si vota anche all’interno della moschee sotto gli occhi degli imam, che talvolta passeggiano tra la folla. Potere temporale, potere spirituale, sono la stessa cosa, ovviamente.

Qualche foto, come questa, l’ho rubata comunque all’interno, con l’iPhone. Ma questa è un’altra storia.

Ognuno a modo suo

Un pomeriggio di qualche tempo fa si giocava così con i suoi vinili.

Da un’idea di Ale.