Di questi tempi è oggettivamente difficile essere democratici e di sinistra. E’ breve lo spazio di manovra. E’ complesso lasciare spazio al ragionamento, mantenendo ben saldi quei principi che dovremmo avere ben chiari, senza lasciarci fagocitare dallo spirito manettaro e populista che ci circonda.
Ieri, per esempio, il Pd, ha abdicato in quel senso. Si è spostato verso quella corrente li, probabilmente perché le elezioni sono così vicine e la gente ha poca voglia di ascoltare, oggi, delle giustificazioni che appaiono ai più soltanto fumo negli occhi.
Per cui, durante il voto per l’arresto di Francantonio Genovese, più che seguire i ragionamenti di principio ha preferito inseguire lo spirito del tempo. Ha raccontato bene queste mie argomentazioni Peppe Provenzano, su facebook:
È un post molto impopolare, forse poco conveniente, ma si è come si è. Riguarda l’autorizzazione all’arresto di Francantonio #Genovese. Con alcune premesse necessarie. Dalla fondazione del PD in Sicilia, a cui ho partecipato per quanto ho potuto, sono stato un fiero avversario di Genovese. Bastava il giudizio politico per esserlo, non certo quello giudiziario – tutto da verificare (e da aspettare, anche). E il giudizio politico riguardava un uomo che per cultura e costume, per modalità di raccolta del consenso, conflitti di interesse ed esercizio della funzione dirigente ed elettiva, era quanto più lontano da come io immaginavo e immagino il PD, e che ad esso recava una dannosa opinione. Al punto da pensare che uno come Genovese sarebbe incompatibile con il PD, se il PD fosse qualcosa di definito e definibile. Ricordo allora un illustrissimo esponente del PD nazionale, per decenni campione indiscusso di intransigente legalità, spiegarmi per un’ora che mi sbagliavo di grosso. Feci parte, su indicazione della mia provincia, della prima segreteria regionale unitaria sotto la sua guida: ne uscii poco dopo per insignificanza dell’organismo e per insanabile contrasto sulla conduzione della linea politica. Ho continuato ad avversare Genovese e il suo costume politico, anche quando i principali esponenti renziani in Sicilia facevano con lui cordata interna, e ancora quando quasi tutti – anche tra i bersaniani – continuavano a considerarlo elemento imprescindibile di accordo in ogni passaggio politico. Fino alla decisione di lasciarlo partecipare alle primarie interne, consentendogli una prova di forza spudorata, abbastanza illusoria se si pensa che negli stessi mesi si stava preparando il disastro politico del voto amministrativo per il PD di Messina. La questione morale era già una questione politica. Finite le premesse, per dire che quanto è accaduto ieri alla Camera è grave vulnus democratico, con piccole miserie annesse. E non per il fatto che si è votato a favore – magari l’autorizzazione all’arresto andava accordata, non vi era traccia di “fumus persecutionis”, e va be’. Ma per le modalità con cui si è arrivati al voto, il comando dall’alto a mezzo stampa, la richeste del voto palese per la pressione sciacalla del M5S, per la tempistica scelta senza una vera discussione parlamentare. Si è voluto fare carne da campagna elettorale della vita di un uomo. E questo deve scandalizzare ogni vero democratico, anche quando si tratta di un avversario politico o del peggiore dei delinquenti (cosa che non sappiamo). Come deve far rabbrividire ogni vero democratico che l’esito del proprio voto sia rappresentato dalla faccia da tonno di un deputato grillino che sghignazza facendo il gesto delle manette. Ma c’è la campagna elettorale, lo so, dobbiamo arginare l’ondata populistica e antipolitica. Certo, a patto che non ci abbia già travolto.