Comitato d’accoglienza

La strada in cui vivono i miei genitori, anzi proprio sotto quel palazzo in cui sono in questi giorni, ha vissuto sempre di grandi certezze e di piccole variabili che ne hanno dipinto lo spazio per un tempo che già tu sai essere breve. Le certezze incrollabili sono rappresentate da un panificio, che negli anni ha ingombrato di sedie e gazebi l’intero marciapiede, un barbiere con la solita clientela ferma li davanti a scambiare due chiacchiere, e da una gastronomia, ossia un locale, che, per come lo definiamo a Palermo, vende tutto ciò possa saziarti a qualsiasi ora della giornata, dalla pasta al forno, al panino coi cazzilli fino alle arancine con la carne. Le variabili temporanee occupano uno spazio risibile tra queste entità, ed hanno sempre avuto vita difficile. Negli anni ricordo, in ordine sparso, una sartoria, un’assicurazione, un’agenzia di viaggi, un negozio d’abbigliamento, uno di corredi, un negozio di telefonia. Ma ne potrei ricordare sicuramente molti di più, se la memoria non m’ingannasse.

Il panificio nell’ultimo anno si è trasferito un pò più in là per un’ingiunzione del tribunale. Ma, tanto per capirsi, gazebo e piante sono rimasti lì, a segnare il territorio. Pochi giorni fa, invece, l’ennesima variabile temporanea, ha tirato su la saracinesca, e già tra i condomini è partito il gioco sadico delle scommesse sulle possibilità di durata di quest’ultima attività. Intanto, giusto ieri, la serratura era già bloccata dall’attack, ad impedirne l’accesso. Giusto per capire l’aria che tira.

B-side

Giza, ed un set per le strade di Alessandria, qui, ض

Cerchio si stringe

Facendo le valigie

Poche ore ancora e poi si torna a terra. Cerco di non parlare troppo di me, qui, però ho la necessità di tornare ad appuntare qualcosa.

Perché ho la sensazione che quest’esperienza me la porterò sulla pelle per un pò, ho la sensazione che qualcosa sia mutato, che si sia smossa qualche pietra che era ferma ad ostruire qualche passaggio. Ho riscoperto il piacere nel dare il giusto tempo affinché pensieri e sentimenti si sedimentino. Ho riavvolto come un bandolo il gomitolo dei miei pensieri, sempre piuttosto ingarbugliati, ed ho capito che ho bisogno di ordine. Anche se mi fingo abile a muovermi su più piani contemporaneamente, il multitasking non fa più per me. Uscendo, tra le altre cose, dalla dipendenza bulimica dalla lettura che più che una reale esigenza di sapere nasconde la necessità di mettere a tacere altri sensi. E’ una dipendenza che sembra non dare effetti collaterali ma che mi ha distratto dalla capacità di sentire ciò che mi accadeva intorno, l’ho usato nè più nè meno che come un antidolorifico. No, non è buona cosa non sentire niente.  Meglio tornare ad essere lucido, l’oblio lo vorrei tornare a  desiderare soltanto quando sarò tanto vecchio da tornare a chiederlo.

Torno da qui con una serenità incredibile. Sarà stato il mare dovrò fare in modo di passare più tempo su una barca, in futuro. E comunque adesso il problema sarà capire se questo cambiamento sarò in grado di riportarlo a casa.

Le coccinelle portano fastidio

L’altro giorno ho visto una coccinella, qui a due ore di navigazione dalla costa. Mi sono detto, che carina, e poi mi sono chiesto come potesse essere arrivata fino a qui. Avevo visto fino a quel momento uccelli anche piccoli come passeri lottare contro il vento e cercare un appiglio, vederli scivolare sulle travi di ferro bagnate, per poi battere le ali fino a trovarne uno migliore. Ma coccinelle ancora no. Mi sono detto, porterà fortuna.

Pochi minuti dopo dalla radio sento gente chiedersi per quale diamine di motivo ci fossero così tante coccinelle. Ne ho trovate poi sul tavolo, sotto di esso, tra i faldoni e sopra il mio zaino. A sera ho cominciato a tirarle fuori da sotto il colletto, anche due. E poi fin dentro la tuta da lavoro. E mi sono detto che no, non portano fortuna, portano fastidio.

Per le strade di Alessandria

Tutti su al Polo Nord

C’è solo una cosa che non cambia a qualunque latitudine mi trovi a lavorare. C’è sempre qualcuno del gruppo, o anche più di uno che prende a dire che questi qui non sanno lavorare, che questi si che sono dei caproni, che qui è tutto un mondo alla rovescia. E’ una caratteristica che naturalmente vale solo muovendosi verso sud. Se sei a Roma sono peracottai quelli lì, se sei a Frosinone sono i napoletani a fare solo della gran caciara ed è sempre meglio non fidarsi, sei in Egitto e allora sono dei cammelli pure loro, e via via fino ad arrivare in Nigeria, come l’anno scorso di questi tempi. Io, in questi casi, non so che fare. Provo a fare il politically correct e a cercare di mitigare le loro posizioni ma poi mi accorgo che è tempo perso e dopo qualche tentativo mi cadono le braccia. Non ho gli anticorpi per mettermi a controbattere continuamente, o a fare sermoni. Poi, raggiunti i trentanni è praticamente impossibile cambiare idea, ti arrocchi nelle tue posizioni senza che nessuno ti possa smuovere. Ci si prova, ma chi non vuol capire non capirà, e più che altro, di questi tempi, non se ne vergognerà nemmeno.

Ma come fanno i marinai?

Ho messo su la sveglia anche stamattina intorno alle sei e trenta e ho guardato fuori per capire quale fosse la situazione oggi. Già ieri sera il capitano aveva spostato Ares, la nostra barca, sotto costa. Il mare si era già ingrossato e per la notte erano previste onde alte fino a sei metri, per cui tanto meglio preservare il nostro stomaco da sommovimenti eccessivi. Da qui, vedo la costa, per cui ancora un’altra giornata di stand-by. Colazione, caffè solubile con latte in polvere, per renderlo più accettabile, e un gran pezzo di torta. Si mangia bene, a bordo. Merito del cuoco malesiano.
Un’altra giornata da riempire di attesa. Siamo almeno quaranta, a bordo, e siamo in sei a comporre questa crew. E’ uno dei tanti vantaggi offerti da questo lavoro che mi sono scelto, o che mi è capitato in dote. Conoscere volti nuovi e storie nuove, lontanissime da quella nicchia che ti sei costruita intorno e che immancabilmente ti assomiglia, per tempi, consuetudini, abitudini, percorsi.
C’è il leader silenzioso, che mi dicevano burbero ed intrattabile, ed invece ad avercene come lui. Ha girato il mondo a fare installazioni come queste, e si vede che seppur stanco, ha lo spirito del viaggiatore.
C’è chi ha litigato con la moglie, s’è separato e non vede i figli già da qualche anno, e per fortuna, dice, che sta sempre in giro. Sta con il suo tablet in mano quando c’è poco da fare e molto per i fatti suoi.
C’è il tipo con gli occhi da guascone perdutamente innamorato di una kazaka. C’è chi vuol tornare a casa perché non ne può più degli egiziani, che hanno la sua parte d’impianto con mille difetti. C’è quello dalle passioni mai sentite prima, dal quale ho appreso dell’esistenza di gare a suon di db (roba che si arriva fino a 170 db), prodotti dai sistemi d’amplificazione di automobili, con tanto di tornei italiani ed internazionali. C’è poi quello perennemente al telefono, e che già a ventisette anni ha qui la responsabilità per conto del committente. E poi ci sono. Che sto bene qui. Finora, per altri nove giorni. Perché io mica li conto i giorni.

A palla, sul ponte

Sono a bordo già da qualche giorno, e comincio a comprendere quel vecchio detto secondo il quale sarà l’età a darmi la pazienza che non ho, nella mia natura. Perché si lavora davvero a rilento, il mare è continuamente in tempesta e quando non lo è sono i capitani delle due navi d’appoggio a far danni, rompendo il ponte che ci permette di attraccare sulla piattaforma sulla quale sto lavorando. E così le giornate passano lentamente, quando non si può lavorare, sul ponte che dondola continuamente, tanto che adesso, guardando fuori dall’oblo per un istante vedo il mare ed un istante dopo guardo il cielo. Ci si siede sulla sdraio al mattino ed al pomeriggio si gioca a carte, assaporando il mare e la vita del marinaio.

E poi la sera, si gioca con una palla raffazzonata, con gli egiziani, sul ponte.

Sintomatico mistero

C’è un fenomeno che deve essere immediatamente debellato. Orde di giovani stanno invadendo le fotogallery dei socialcosi con immagini di uomini e donne dagli occhi semisocchiusi. Non che il fenomeno non fosse diffuso prima che l’onda di feisbuk travolgesse le nostre esistenze, se è vero come lo è che già sei o sette anni fa ne avevamo preso a discutere con interesse scientifico con qualche amico, tanto che in qualche archivio fotografico potrei anche trovare tracce di questa fase decisamente cool delle nostre vite.

Ma adesso la deriva è stata travolgente, e ancora non capisco quando questo vezzo sia diventato sinonimo di qualche tipo di figaggine a me ignota, quando abbiamo cominciato a pensare che quello sguardo lì potesse renderci simili a modelli da passerella. Ci pensavo guardando queste immagini qui, al chirurgo plastico che si ritrae in queste pose, e lo ripeto. Smettiamola, per l’amor del cielo.