Ed ecco le foto

Sono riuscito a mettere un pò d’ordine tra le foto di Oslo. Per chi le vuole vedere l’album è qui!

Sappiamo da dove arriviamo…

Palermitani, vi ricordate dove eravamo a quest’ora quattro anni fa? Che goduria indimenticabile! Neanche quando abbiamo vinto il mondiale la stessa euforia per le strade del centro.

p.s. Porca miseria, l’hard disk rotto non mi consente di farvi vedere una certa cosetta…. testimonianza della follia di quei giorni. Vedrò di rimediare al più presto.

Presunti rapimenti

In questo crescente allarme sicurezza mi sento un po fuori luogo. Confrontandomi con qualcuno mi sembra di vivere in altri posti. A me sembra che si stia esagerando un pò con questo allarmismo su Rom ed extracomunitari, che le sensazioni diffuse tra tutti siano dettate non tanto da un’esperienza perlomeno nota ma più da un sentito dire, con un meccanismo molto simile a quello con cui si generano le leggende metropolitane. Qualcuno è arrivato a dirmi che forse dovrebbe capitarmi qualcosa per capire che mi sbaglio. Mah.

E’ il caso ad esempio delle notizie eclatanti dei rapimenti attribuiti a Rom a Ponticelli, di cui si parla molto visto quello che ha prodotto per reazione, e a Catania. Tutti i giornali ne hanno parlato, dando le notizie a piena pagina, senza poi andare a fondo e annunciare di essersi molto probabilmente sbagliati. Qui ad esempio si trova la smentita al rapimento di Catania. Cosi come qua si getta un’ombra sui fatti di Ponticelli.
Ora io non voglio santificare il popolo Rom, ma trovare un pò di equilibrio non sarebbe auspicabile, invece di gettare benzina sul fuoco?

O forse, quando non si possono risolvere i problemi è meglio crearne a tavolino per poi risolverli facilmente e lasciar apparire che si è fatto tanto?

Oslo. Dove (almeno per ora) non è mai notte. Prima parte.

Eccomi tornato, qui. La breve vacanza ad Oslo ha sfiancato si le mie gambe ma ha rigenerato tutto quanto il resto. Il cervello è stato li e soltanto li per quei pochi giorni.
Leggero, in una sensazione che andava crescendo ora dopo ora. Oslo ha riservato piccole e grandi meraviglie, almeno in maniera inversamente proporzionale alle aspettative che in essa vi erano riposte.
Capita spesso cosi quanto la meta non è meditata, quando è di quelle che nascono per caso cercando tra le compagnie aeree quella che sa offrirti il miglior prezzo. Come tale non era legata ad un particolare desiderio di conoscenza, tanto più che poco prima di partire, leggendo qua e la vari racconti di viaggio, l’idea che ne veniva fuori non era di certo confortante. Oslo si porta dietro l’immagine cupa di una città un pò noiosa e buia, priva di quelle grandi attrazioni che popolano altre capitali Europee.
Già all’avvicinarsi alle coste della Norvegia si ha la sensazione di essere lontano mille miglia dal caos lasciato alle spalle. Le disordinate coste fatte di insenature e piccole isole, contrapposte all’ordine delle campagne mi hanno fatto pensare a quanto un popolo e le sue caratteristiche siano strettamente legate alle caratteristiche della terra in cui vive. Forse è un pensiero inutile, ma l’idea che il disordine della macchia mediterranea sia legato in qualche arcana maniera al disordine delle nostre comunità, e che quell’ordine sia legato al proverbiale rigore scandinavo accompagna i miei pensieri ma mano che ci avviciniamo all’aeroporto di Torp.Domani, trovando tempo a sufficienza, proverò a raccontarvi perchè vale la pena conoscere questa città. E a mostarvi le foto.

C’è modo e modo

Guardando le nuove proposte sulla detassazione degli straordinari mi sono imbattuto in questo grafico:
Certo che rientrare in quel 1,5% non deve essere male. La vera elitè.

Gomorra. Il film

Sabato sono andato a vederlo.

Non è un film facile, che lascia spazio a facili giudizi o a prese di posizione.
Il ritmo serrato e la complessità della trasposizione cinematografica di un libro che sta a metà tra l’inchiesta giornalistica e il romanzo non consentono distrazioni. L’unico limite sta li, nella difficoltà nel seguire costantemente la trama, che tra intrecci incrocia alcune delle storie raccontate nel libro. Vederlo dopo aver letto il libro in questo caso può offrire maggiore chiarezza.
Matteo Garrone, il regista, ha fatto un lavoro enorme nel riuscire a trascinare con tale efficacia quello che veniva fuori dal libro offrendo anche qualcosa in più. La scelta degli attori, strabilienti pensando che per la maggior parte si tratta di esordienti, la colonna sonora neomelodica, la recitazione completamente in napoletano, i luoghi (tra cui le famose Vele di Scampia) rendono il film crudo e quindi così reale.

Avendo visto il film con dei napoletani ho poi avuto modo di apprezzare delle sfumature che potevano essere notate soltanto da un occhio allenato a conoscere quei luoghi, quegli accenti, quelle situazioni.

Durante la proiezione, cosi come dopo, non c’è spazio per ragionare, puoi solo uscire dal cinema con una sensazione di lutto nel cuore, il lutto dettato dall’impossibilità di dare una spiegazione a tanta violenza e a tanto degrado che è parte di noi.
Non puoi dare un giudizio, il film non te ne da l’occasione, come un pugno nello stomaco lanciato all’improssivo ti da solo l’occasione di notare la direzione da cui arriva ma non di schivarlo, ti mette di fronte ai fatti nudi e allora puoi soltanto prenderne atto.

All’accensione delle luci in sala vedere ogni punto gremito offre la speranza che il grido disperato lanciato da qualche anno da Roberto Saviano non è stato vano, il film offrirà la possibilità ad un pubblico ancora più vasto di conoscere quei fatti ignorati o raccontati parzialmente da altri media. Offrirà spero ad alcuni la curiosità per leggere quel libro e conoscere le storie che qui non si sono potute raccontare per capire quanto tutti ne siamo coinvolti pur non vivendo in quei territori.

Terra Matta

Ho da poco chiuso a stento le ultime pagine di Terra Matta, l’autobiografia di un semianalfabeta siciliano del secolo oramai trascorso. Uno di quegli uomini che vedi seduti nelle piazze dei nostri paesi con le mani grosse e rugose segnate dalla fatica di una vita passata a lottare per un’esistenza dignitosa, con il viso sorridente pronto a dispensarti una delle tante storie della sua esistenza. Vincenzo Rabito era uno di quelli li, ed è stato lui che giunto agli ultimi anni della sua vita decide di sfidare la sua estrema ignoranza scolastica per raccontare quelle che sono state le avventure incontrate fin dalla sua nascita. Attraverso questo suo racconto descritto in un siciliano inventato punto per punto ti trovi cosi a ripercorrere quella che è stata la storia d’Italia con un efficacia che nessun libro di storia finora mi ha dato.
Un racconto attraverso il quale vengono fuori le caratteristiche migliori e peggiori di noi Siciliani, dalla voglia di emergere all’esigenza di ricorrere a piccoli o grandi compromessi che nel caso di Vincenzo ne consentiranno la sopravvivenza.
Un libro che voglio far conoscere, per il quale avrei potuto scrivere tanto, ma per il quale non avrei saputo trovare parole migliori di quelle usate in questa recensione di cui riporto uno stralcio:

Immaginate un lavoratore manuale siciliano non molto colto che, dopo anni di sudore e una vita di stenti, peripezie, stratagemmi vari e improvvisate strategie di sopravvivenza, decide di sedersi e di raccontare. Di raccontarsi. Immaginate che quest’uomo sia un semianalfabeta, ma che l’esigenza narrativa è così forte, così pressante, che nemmeno la carenza linguistica può costituire una barriera insormontabile.
Quest’uomo esiste. O meglio, è esistito.
Questa è la bella vita che ho fatto il sotto scritto Rabito Vincenzo, nato in via Corsica a Chiaramonte Qulfe, d’allora provincia di Siraqusa, figlio di fu Salvatore e di Burriere Salvatrice, chilassa (classe) 31 marzo 1899, e per sventura domiciliato nella via Tommaso Chiavola. La sua vita fu molta maletratata e molto travagliata e molto desprezata. Il padre morì a 40 anne e mia madre restò vedova a 38 anne, e restò vedova con 7 figlie, 4 maschele e 3 femmine, e senza penzare più alla bella vita che avesse fatto una donna con il marito, solo penzava che aveva li 7 figlie da campare e per dacere ammanciare.”

Una vita pregna di storie, quella di Rabito: da ragazzino è stato bracciante, poi è partito per il Piave, ha fatto la guerra D’Africa, è sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale, ha fatto il minatore in Germania. Una vita il cui racconto diventa inconsapevole pretesto per tratteggiare gli eventi principali che hanno fatto la storia del Novecento: le due grandi guerre, l’avvento del fascismo, l’emigrazione. Una vita caratterizzata da una serie di furberie più o meno connesse al tentativo di sottrarsi a una povertà difficile da scrollarsi di dosso. Una vita di viaggi, dunque; spesso imposti. E un vita di ritorno. Il classico ritorno a casa, in terra di Sicilia, dove Rabito finisce per sposarsi e crescere tre figli. E poi l’incontro magico, imprevedibile e fruttuoso con una macchina da scrivere: una vecchia Olivetti dove, tra il 1968 e il 1975, il bracciante di Chiaramonte imprime i suoi ricordi con un (forse involontario) piglio tragicomico e un linguaggio indefinibile, che non è italiano e nemmeno siciliano; un linguaggio naturale che diventa lingua e trova nelle sue non-regole l’elemento vitale e fascinoso di una narrazione fuori dai canoni, ma sincera e avvincente. La narrazione di chi scrive perché ha qualcosa da dire (a prescindere da tutto e da tutti), che è diversa da quella di chi scrive per dire qualcosa. E Rabito di cose da dire ne aveva tante, che “se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare”.
Ha ragione Andrea Camilleri a sostenere che dall’autobiografia di Rabito emergono « cinquant’anni di storia italiana patiti e raccontati con straordinaria forza narrativa»; e che siamo di fronte a «un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso.»

E’ davvero un libro che non si può non leggere. E dopo averlo letto continuare a desiderare di non averlo finito per continuare a conoscere l’epopea di quella famiglia. Sapere che fine avessero fatto i protagonisti di quel libro, i figli diventati nelle ultime pagine del libro degli uomini, per soddisfare quelle curiosità incontrollabili che nascono quando un libro ti entra nelle vene.
Scoprendo il sito del figlio Giovanni ho così ad esempio scoperto che quell’inquietudine che il padre racconta nel libro “Ciovanni pazzo che senevoleva antare a cirare litalia, la Spagna, la Francia tutta con lauto stoppe”, lo ha reso uno scrittore che adesso vive in Australia e che avrei voluto contattare per soddisfare la mia voracità. Forse lo farò.
Intanto se ho acceso in voi una parte della mia curiosità potete trovare qui alcune pagine del libro.

Diffida dal compromesso

Tra i passaggi più duri da mandare giù, quello che sembra parlare direttamente al nostro cuore riguarda l’arte sottile di costruirci gli alibi per un dignitoso compromesso:

“Qualche volta mi è sembrato giusto dire, accidenti, che ho solo una vita da vivere e che non ne avrei sprecato un briciolo in qualche squallido compromesso. Ed ecco che fa capolino il pensiero non voluto: con una sola vita a disposizione, non sarebbe meglio risparmiare un po’ di tempo evitando questo o quel combattimento di minor conto? Diffida di questa tendenza dentro di te”.

da Consigli a un giovane ribelle di Christopher Hitchens

La salita e adesso rifiatare

Un passaggio sostanziale ieri. Un’attesa snervante di un momento come questo che consentisse di vedere il futuro finalmente con minor paura.

Due anni sono passati da quel giorno in cui al telefono ho sentito la voce rotta dalla rabbia dal pianto per la delusione di un lavoro caduto nel vuoto.
Due anni passati a rincorrere mille strade dalle quali si sapeva benissimo non si potesse trarre nulla di che, soltanto per tirar su la testa per poi rimetterla sotto la sabbia. Ulteriori delusioni e l’autostima che andava giù.
Gli ultimi mesi sono stati ancora se vuoi peggiori, a chiedersi se fosse giusto non cedere a compromessi sempre rinnegati. Perchè quando non va bene cominci ad interrogarti anche su questo. Senza ipocrisia. Ma con molta disillusione.
E poi questo concorso portato avanti da 5 anni sembrava qualcosa di inarrivabile. Partire in 25000 per arrivare in soli 400. L’1,6% del totale. Impossibile. Ed invece le prove sono state scavalcate un passo dopo l’altro, fino a quest’ultima. E il terrore di non farcela diventava sempre più grande, perchè poi quale sarebbe stata l’alternativa? Sicuramente non sarebbe stata l’ultima spiaggia, altre occasioni si sarebbero potute aprire. Il Piano B era acceso nella mia mente. Ma era l’occasione per fare ciò che si desiderava.
La voglia di studiare latitava ma solo nelle ultime settimane le forze si sono riunite. Nonostante le crisi di questi ultimi giorni, i pianti e la confusione.
E ieri finalmente l’esame e una nuova possibilità che si apre. E’ andata meglio di quanto potessi desiderare.
Adesso è arrivata l’ora di ripartire. Con la speranza che dopo tanta salita sia arrivata l’ora di rifiatare.

Tutto Lombardo minuto per minuto

L’unica forma di mercato esistente in Sicilia, come già ho avuto modo di dire, è quello del voto. Funziona esattamente allo stesso modo, ad una domanda corrisponde un’offerta.
Alcune settimane fa avevo parlato del file delle promesse elettorali scovato per caso su emule. Adesso è disponibile da questo sito indicato in calce. Per di più sono nomi legati alla provincia di Catania, magari però troverete quel vostro conoscente che non fa che parlarvi di quanto in Sicilia non cambi mai nulla.

http://www.mediafire.com/?z950awjvwdd