Ficarra e Picone, cosa vi è successo?

Ficarra e Picone sono i più pessimisti tra tutti noi e ancora non ce ne eravamo resi conto.  L’Ora legale, il loro ultimo film, ha svelato questo segreto. Una spietata disillusione.

Non che non ci abbiano mai lasciato un vago sentore di quest’attitudine. Alla quale, del resto, mi sento molto vicino.  La loro comicità, nella migliore tradizione della commedia italiana, attraverso lo sberleffo ha sempre avuto la capacità di raffigurare i difetti della terra da cui veniamo.  Hanno sempre contrapposto alla risata più istintiva, quella che muove dalle viscere, una risata amara attraverso quale riflettere sulle meschinerie del nostro essere.

In questo senso l’Ora legale poteva rappresentare il loro capolavoro, rappresentando l’essenza stessa di questi tempi. Tempi nei quali le parole onestà, legalità, pulizia, sono entrate nel vocabolario della gente comune e dei politici, e con le quali sono farciti i programmi elettorali di partiti e movimenti di ogni sorta.

Ma dietro la scorza costituita da questa che potrebbe essere una ventata di ottimismo si nascondono le stesse persone che un tempo non lesinavano la raccomandazione per il figlio, il piccolo favore dal conoscente con le amicizie giuste, la piccola occasione per poter ottenere il proprio tornaconto alle spese della comunità. Un modo di fare che squisitamente ci rappresenta da Pozzallo a Pergine Valsugana.

Tagliare con la loro ironia questo velo di ipocrisia che pervade i nostri giorni era l’orizzonte ideale dentro il quale si muove la trama del film.

La sensazione che però ho vissuto, seduto nelle poltroncine di un cinema della Brianza, è stata da subito un’altra. Alle risate che riempivano la sala, si contrapponevano i mugugni e gli arrovellamenti del mio fegato. E di Chiara, con la quale talvolta incrociavamo gli sguardi in cerca di un conforto.

Salvo e Valentino sono palermitani, e fanno bene a cercare lo scenario dei loro film in Sicilia. Li rende autentici, credibili. E Termini Imerese, nel quale il film è ambientato, potrebbe essere la quintessenza di ciò che non ha funzionato negli ultimi sessant’anni in Sicilia. Investimenti industriali disillusi, speranze di volta in volta riproposte da politici sempre uguali a se stessi. Sogni ed incubi che si inseguono da sempre.

Nel teatro delle strade di quella città, come di molte altre, puoi rappresentare tutti i difetti della quotidianità di una città del Sud. Li puoi rendere divertenti, puoi farmi ridere a crepapelle. Se però sbagli il tiro, se nello scrivere la sceneggiatura non usi il fioretto, se non scegli gli attori giusti, quello che rappresenti non è più la possibilità di raccontare attraverso i difetti dei Siciliani i difetti di tutti gli Italiani. Offri piuttosto la sponda ad una rappresentazione della Sicilia sempre uguale a se stessa, nella quale chi non conosce il Sud può riconoscere i propri pregiudizi.

E’ in questo che ho misurato la distanza tra la mia reazione e quella delle risate che provenivano dalle altre poltrone. Tra il successo nazionale del film e la scontentezza nelle reazioni di molti altri siciliani.

Quando la speranza offerta dal Sindaco nuovo, onesto, che tenta di cambiare le cose, viene a contatto con gli interessi personali di chi lo ha votato, che si ribella alla propria stessa voglia di cambiamento, a venire rappresentato è lo stereotipo. Quello secondo il quale al Sud nulla possa cambiare. Che ad una certa latitudine funzioni in una certa maniera.

Non passa il messaggio secondo il quale all’onestà delle parole, che ondivaga percorre l’Italia, si debbano accompagnare comportamenti personali di analoga levatura. Non la critica alla nostra moralità che usa unità di misura diverse a seconda che debba giudicare se stesso o il proprio vicino.

Forse Valentino e Salvo non sono troppo diversi da me, vorrebbero vedere cambiare tante cose che non vanno, ma hanno perso il senso dell’illusione nel crederci davvero. O forse cercano soltanto di punzecchiare ferocemente le proprie vittime per risvegliarle dal torpore.

La sensazione però è che siano stati davvero troppo fuori fuoco per poter colpire il centro del bersaglio. Ed è davvero un peccato veder sprecata l’occasione per poter parlare ad un pubblico così vasto di questi argomenti. Davvero un peccato.

L’amica Geniale

Cosa è?
Difficile incontrare qualcuno che non lo conosca. E’ il libro italiano più venduto all’estero negli ultimi anni.

La sua autrice, Elena Ferrante, è del tutto sconosciuta. Dietro infatti al suo nome si nasconde  l’ennesimo personaggio, dietro il quale sono cresciute ipotesi e indagini, quasi morbose, per comprendere chi fosse la misteriosa autrice di questo successo planetario.  E’ una storia che si sviluppa in quattro lunghi libri, e racconta l’amicizia tra Lena e Lina, due bambine cresciute in un quartiere alla periferia di Napoli, negli anni cinquanta. Due bambine cresciute insieme e le cui vite, nei sessant’anni descritti dal libro, non sembrano separarsi mai, nonostante le distanze. Due amiche le cui vite sembrano lontane fin da subito, tra la voglia di emancipazione di Lena e la cocciuta testardaggine nel restare sempre nello stesso quartiere di Lina.

Di cosa parla?

E’ una quadrilogia che mi ha tenuto legato alle sue pagine per quasi quattro mesi, dopo averlo cominciato per curiosità dopo averne sentito parlare molto e averlo visto ogni sera sul comodino dal lato di Chiara. E devo a lui molte ore di sonno rubate. Troppo difficile interromperne la lettura e poggiare la testa sul cuscino.

Non da subito, comunque. Il primo libro, dedicato alla loro infanzia, è sicuramente il più acerbo, ma le basi che getta per la storia sono essenziali. Le figure che popolano il quartiere creano un quadro umano che non verrà mai abbandonato durante tuto il romanzo. E raccontano, dopotutto, anche la storia dell’Italia, dal dopoguerra, alla scoperta della ricchezza degli anni sessanta, fino a giungere fino al nuovo millennio.

Ad emergere sono, comunque, sempre e soltanto le donne.

Gli uomini sono sempre figure meschine, superficiali, spinti dall’istinto o, tutt’al più, succubi delle donne. Sono figure importanti ma del tutto manovrabili, e si fa fatica ad individuare un uomo la cui personalità emerga in maniera del tutto positiva. La profondità dei personaggi maschili e quasi del tutto trascurata, per fare emergere le donne.

Le cui sfumature caratteriali emergono non soltanto dalle due geniali protagoniste, ma da tutte le donne incontrate durante la lettura. Le cui venature caratteriali compongono un campionario quasi completo delle donne italiane degli ultimi cinquant’anni.

Perché leggerlo?

Perché Lenù e Lina sono due personaggi che restano nella memoria. Raccontano l’amicizia, con le invidie, le incomprensioni, le cattiverie e la stima reciproca, in maniera cruda ma allo stesso tempo reale.

E poi perché è un libro che non perdona nessuno, non lascia scampo e non fa sconti. E si lascia divorare.

 

Ma non dovevamo vederci più

Alla scadenza annuale del mio account su tophost, quest’anno avevo deciso di non rinnovare più questo spazio.

Le ragioni, molteplici. 

La distanza tra un post e il successivo. Segnale di un’urgenza che non c’era più, nascosta dietro gli impegni lavorativi e la vita familiare. 

Poi, il rumore di fondo della rete, fin troppo piena di opinioni, per aggiungerne delle altre. Oltrettutto non richieste. 

E infine una certa consapevolezza, maturata negli ultimi anni, di cui vorrei parlare a lungo, magari piu’ avanti. 

Peró poi è bastata la spinta dei soliti per scrivere ai gestori per riavere questo spazio. 

Perchè, nonostante la voradicità dei social, che lasciano raramente lo spazio per riflessioni più lunghe di qualche riga, mi sembra di avvertire nell’aria la necessità di un ritorno ad uno spazio più personale. 

Molte persone che conosco hanno riaperto il loro blog dopo qualche anno di silenzio, sono rifiorite le newsletter, con qualche caso di buon successo. 

Ma, più ampiamente, sembra sia nata la necessità di una condivisione più ristretta, che ambisce a ritrovare un’isola di confronto più serena, ragionata, sincera, di quanto offerto dall’immensa vastità del bacino dei nostri amici su facebook.  Nei quali, spesso, si tende a tacere le proprie opinioni per evitare discussioni spesso sterili e per evitare dissapori con persone che abitualmente incontri per strada. Una forma di autocensura che è anche una forma di salvaguardia per le proprie coronarie. 

Per cui ben venga questo ritorno alla riserva indiana dei blog, luoghi virtuali in cui rifugiarsi durante questi strani giorni.