Soffermandomi sui nuovi manifesti elettorali per le vie della città, tra rivoluzioni in corso, foto di donne con le meches riciclate dalla precedente campagna elettorale (forse per ammortizzare i costi del parruchiere, e del fotografo), mi faccio qualche domanda sul voto che sarà, alla fine di ottobre, qui in Sicilia.
Il luogo comune vuole che dalle elezioni siciliane si possano trarre deduzioni che anticipano quello che a livello nazionale potrà avvenire da qui al prossimo anno, perché la straordinarietà, e l’improbabile comportamento dei Siciliani al momento delle elezioni, costituisce un buon mezzo per comprendere anche l’imponderabile.
Per questo motivo mi sono voluto avventurare in un analisi del Siciliano medio al voto e del suo candidato ideale.
Il Siciliano è per sua stessa natura, un’individuo che ha la pretesa di saperla lunga, almeno più del proprio vicino di casa. La furbizia di cui si fa portatore consente di riconoscere sotterfugi e scoprire le intenzioni più nascoste del proprio interlocutore, perchè a lui per “fissa” (vedi stupido) non lo prende nessuno. Questo nonostante la storia gli remi contro in questa narrazione.
Per cui è capace di ascoltare tutti con la massima attenzione, valutando pro e contro di ogni discorso e solidarizzando con le posizioni, qualsiasi esse siano, del suo interlocutore. Se quindi dovesse scegliere il suo candidato ideale, non sarebbe in grado di descriverlo, perché, semplicemente, esso non esiste.
Perché il Siciliano, a ragion veduta si potrebbe dire, non crede a nessuno. Vorrebbe votare per se stesso, di volta in volta, ma non può perché non ha tempo da perdere e con un solo voto non andrebbe molto lontano.
Partendo da questi presupposti, esistono però due candidati, che a grandi linee, possono trovare l’approvazione dei diversi tipi di siciliani.
Se la politica è l’occasione per chiedere il conto a vecchie amicizie, il candidato ideale deve essere sufficientemente marpione, non troppo schierato, con idee quindi vaghe, delle quali nessuno comunque verrà a chiedere il conto. Deve garantire il quieto vivere, la sopravvivenza dello status quo, per quanto sgangherato esso sia, costituito da un equilibrio tra assistenzialismo e menefreghismo per tutto quello che sembra non riguardarlo direttamente, o che non intacchi le piccole miserie quotidiane, necessarie per campare.
Deve essere in grado, in linea definitiva, di essere esibito come capro espiatorio per le inefficienze generali con cui si scontrerà quotidianamente (citando una frase di qualche giorno fa di Mario Monti), dalle file al pronto soccorso, alle macchine in doppia fila.
(1- continua)