L’antimafia è oramai un buon orpello con cui ornarsi, e questo è francamente oramai assodato. In Sicilia, più che altrove, per una sensibilità oramai diffusa su questi temi, e che non può prescindere da decenni di retorica.
Ma vedere certe immagini dimostra che ignoranza, pressappochismo e qualunquismo, a distanza di vent’anni hanno capovolto la storia.
Massimo Ciancimino è in via D’Amelio. Massimo Ciancimino dice: “Sono l’unico ad avere il coraggio di presentarsi qui”. E racconta, non pago, di essersi tatuato la data del 19 luglio sul braccio, accanto a quella di nascita di suo figlio. Emblemi dei momenti più importanti della sua vita, aggiunge. Come se non bastasse, in un crescendo che, più che rossiniano definirei fantascientifico, leggo che Ciancimino e Salvatore Borsellino sono stati immortalati avvinti in un forte abbraccio. A quel punto penso a uno scherzo. Chiamo la collega che conferma tutto. Non ha bevuto, né è il caldo ad armare la sua penna. Tranne qualche divertente, ironica e indignata reazione su Fb tutto tace. Pure quando si raggiunge l’apoteosi con una agenda rossa che confessa la donazione di denaro fatta dal figlio di don Vito al movimento. Trecento euro che, se si applicasse la proprietà transitiva, potrebbero costare una paradossale accusa di riciclaggio.
Devo dire che la prima frase che m’è venuta in mente quando ho capito che era tutto vero è la solita citazione del grande Blade Runner…“Ho visto cose che voi umani…” Ebbene sì, ragazzi, abbiamo visto cose che voi umani non potreste immaginare… Altro che navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione. Abbiamo visto uno che è stato condannato per avere riciclato i soldi di un padre che rappresentava tutto quel che Borsellino combatteva, assurgere al ruolo di icona dell’antimafia. Abbiamo sentito parlare di verità uno che è accusato di essersi divertito a fare un copia e incolla con i documenti di cotanto padre e calunniare gente innocente, fino a prova contraria.
Uno che è riuscito a tenere sotto scacco una Procura (che glielo ha consentito) dispensando a singhiozzo papelli vari. Uno che…e potrei continuare all’infinito, perché il suddetto – da poco tornato libero – ha sul groppone tante di quelle accuse – da parte di procure di tutta Italia – da riempire pagine e pagine. E in questo clima di follia, mentre Massimo Rolex (soprannome dall’intuibile origine) diventava simbolo di chi lotta in nome di Borsellino (tanto da meritare l’abbraccio commosso del fratello) la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, che mi risulta incensurata e mai accusata di avere riciclato soldi sporchi e che non smistava i pizzini di Provenzano, viene contestata in via D’Amelio. Perché i politici son tutti uguali, fanno orrore tutti allo stesso modo, rappresentano la Casta e non li vogliamo. Anche qui senza distinguere, senza pensare, nella sola logica del “mi piace” “non mi piace” che basta a catalogare tutto. E’ un mondo alla rovescia questo, perdonate l’espressione un po’ da vecchia che vagheggia di tempi migliori. Un mondo in cui due intellettuali come Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo, giurista di fama nazionale l’uno, storico tra i più stimati del Paese l’altro, solo per avere espresso un’opinione dissonante sull’impianto accusatorio della trattativa vengono insultati e accusati da un procuratore della Repubblica di mettere in pericolo la sicurezza dei pm che lottano la mafia. Lo stesso Procuratore che parlava al telefono di un’inchiesta riservata con il manager di una banca e chiedeva informazioni ai suoi sostituti per riferirle al potente uomo d’affari.
E’ un mondo alla rovescia. E, temo, che raddrizzarlo non sia più possibile.
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