É soltanto una sensazione, oppure, nonostante le tracotanti personalità che vogliamo far emergere, abbiamo un enorme problema nell’avere a che fare con il nostro dolore e la sofferenza altrui?
Non vogliamo apparire deboli e tendiamo a nascondere le nostre debolezze e quindi anche chi ci sta intorno spesso non si accorge di ciò che ci accade. Siamo sulla difensiva, certi, sicuri, che una nostra debolezza possa essere usata per ferirci.
Ma anche quando non possiamo fare a meno di accorgerci dell’altrui malessere sorge qualcosa che non so se definire pudore o egoismo nell’ignorare gli altri nel momento in cui hanno bisogno di noi.
Che si tratti di un lutto, di un dolore atroce, di un tracollo psicologico, occorre subito passare oltre, non disturbare il conducente dalla trionfante marcia per il proprio benessere. Meglio scappare e scomparire piuttosto che affrontare il dolore.
E anche quando questo viene affrontato e bene metterlo sempre al confronto col nostro, nel ribadire, che insomma, va bene come stai tu, ma ci sono IO e IO e ancora IO. E insomma, é tutto piuttosto fastidioso, e anche parlarne lo é, visto che il dolore sta diventando ormai il tabù dei nostri tempi. Ma é ciò che vado osservando tra noi adulti da qualche tempo a questa parte per via di ciò che mi succede intorno, e mi pare che riuscissimo ad essere sicuramente più coinvolti da adolescenti, quando restavamo su una panchina per ore ad ascoltare le paturnie e le sofferenze dei nostri amici. Mentre adesso, siamo qui, presunti adulti, ma empaticamente assenti.
Come cantavano Niccolò Fabi e Daniele Silvestri in una bella canzone di qualche tempo fa:
A domandarti come stai,
si corre sempre un certo rischio.
Il rischio che risponderai
e questo normalmente sai,
non è previsto.
E noi, questo rischio, vogliamo essere certi di non volerlo correre .