Dopo una decina di giorni la sensazione di diffusa normalità lascia spazio ad una specie di pesantezza di fondo che accompagna le giornate. Si continua ad uscire ogni sera, per la cena nei ristoranti della città, si passeggia per le strade come sempre, ogni sera, ma la percezione è quella che si stratifica racconto dopo racconto dalle loro bocche e che ti fa venire solo voglia di respirare.
Il traffico è sempre così caotico, ed adesso so il motivo. I ragazzi girano tanto in macchina, per mancanza di alternative, ma anche perché è molto più semplice stare a contatto con la macchina di fianco e parlare con qualche ragazza conosciuta in un locale, che fermarsi a discutere sul viale principale. E’ una questione di mimetizzazione, per sfuggire al controllo della polizia religiosa.
In albergo provo a chiedere un decoder, giusto per guardare qualche canale internazionale. Ma mi dicono che le stanze che possono avere il decoder sono limitate, e sono tutte occupate. Sono quelle con il terrazzo, nel quale è più semplice nascondere la parabola. Occorrerebbe passare un cavo da li fino alla mia stanza, ma non ne vale la pena, dico io.
Una notte mi sono svegliato di soprassalto, come dopo un’incubo. Avevo sentito varie storie durante il giorno. Amin mi aveva raccontato della volta in cui fu arrestato per cinque giorni solo per aver fatto qualche foto durante una manifestazione. Poi, su twitter, aveva preso a seguirmi un giornale locale, e li si sa che tutti i giornali sono filogovernativi. Mi era presa una tale ansia che di notte ho acceso il pc e ho nascosto tutti i miei inutili post, pubblicati fin li.
Nel parlare con loro cercavo di capire quali fossero le loro sensazioni al sentire le voci dell’intensificarsi della situazione, ma mi rispondevano tranquilli, come se fossero talmente abituati a questa sensazione da non farci neanche più caso. Non era così, ovviamente, visto che l’idea di andare via da quel paese per qualcuno era già stata valutata e considerata come prossima.
Alla mia partenza, lunedì li prendevo in giro pensando alla birra che avrei bevuto la sera successiva, e vagheggiavamo sul modo per poterla infilare in valigia aggirando ogni controllo.
Dopo un po’ c’è ne è abbastanza da far venire voglia di anarchia, anche di quella, tutto sommato normale, di casa nostra.
p.s. Adesso sono davvero tornato a casa. Ed il titolo che ho dato a questi post, non era un del tutto casuale riferimento ad un libro visto spesso in biblioteca e mai letto. Era anche legato al fatto che l’ho davvero letto “Colazione da Tiffany”, uno di quei libri che trascuri sempre per quei preconcetti che ti porti dietro, fin quando incontri qualcuno che qualche mondo nuovo te lo fa scoprire. E poi, per non farmi mancare nulla, ho anche visto per la prima volta il film.
Ecco, quello me lo potevo evitare.
Il resto delle foto sono qui.