Sarà tutta colpa del rum

In quei giorni in cui potevo controllare i miei feed per almeno fare un pò di pulizia o leggere i post più brevi, mi soffermai soltanto su un post.
La sera prima avevo letto un bell’articolo, su Wired sulla bloguera cubana Yoani Sánchez, una delle poche voci libere che, con non poche difficoltà, da quell’isola giungono al resto del mondo.
La presenza, oramai, su molte riviste internazionali, comincia a dare parecchio fastidio dalle parti di Raul Castro.
Tant’è che la mia attenzione fu catturata da una lettera di Gianni Minà sul Fatto Quotidiano.
Senza pensare alle imitazioni di Fiorello, di Gianni Minà continuo a ricordare le vecchie trasmissioni sulla Rai e, nonostante la pericolosa deriva senile che hanno preso le sue opinioni, una simpatia naturale.
La lettera però è tutto un’intendere fatti imprecisati, ipotesi complottiste internazionali, che può far cadere le braccia anche ai più ben intenzionati, se con un minimo di buon senso.
Ed infatti oggi Wired risponde ad ogni sua proposizione per mano del traduttore italiano di Yoani, e lo fa senza risparmiare neanche un colpo.
Istruttivo, per comprendere certi vizi.

Lentamente si ritorna

Sono tornato da appena due giorni.
E’ un lentissimo ritorno alla normalità.
Tengo lontano il rumore del nostro provincialismo, per il nostro piccolissimo mondo. Quasi mi infastidisce, oggi.
Sono passato direttamente da Genova, e soltanto oggi sono arrivato a casa, posticipando a domani il ritorno in ufficio.
Mi sono ricordato di non aver pubblicato quanto avevo scritto le ore prima della partenza.

Ultimo giorno.
Le ultime ore prima di partire si consumano lentamente, nell’attesa annoiata nella camera d’albergo.
Annoiato forse non sarebbe l’aggettivo più adatto nel descrivere la pienezza di questi momenti. Avrei potuto avere tutto il tempo per annoiarmi in questi giorni, ma non si può mai dire che mi sia trovato nella condizione di desiderare null’altro da fare.
In nave le attrattive non sono molte. Le giornate cominciano alle sei del mattino, la colazione è servita fino alle sette, e già in quell’ora ognuno ha conquistato la propria posizione.
Alle nove, secondo una tradizione rispettata ovunque, su ogni piattaforma, si serve una
pizza fumante, mentre il caffè nero e lungo è sempre a disposizione.
Si pranza già dalle undici e fino all’una, e praticamente a distanza di ogni due ore
c’è la possibilità di sgranocchiare qualcosa, almeno fino alle nove di sera.
Due ore dopo la cena.
Ho passato molto tempo lavorando, anche oltre l’orario in cui gli altri riposavano, e con indosso ancora la mia tuta da lavoro gironzolando tra la nave ascoltavo i canti di preghiera
dei Nigeriani, riuniti in sala mensa, e le discussioni nella sala caffè.
Il telefono, l’unico, spesso non funzionava, ed anche la Rete, nell’unico computer a disposizione, qualora girasse, era di una lentezza che mi portava indietro al ’97.
Chiamavamo con il nostro satellitare, fuori, sul ponte. Per fortuna. E, nel mare tutto illuminato dalla torcia che bruciava gas, una di
quelle sere un bel gruppo di delfini si è messo a giocherellare, difronte a me, eccitato come un bambino al luna Park.
Nonostante tutto erano giornate talmente piene che anche tornando in cabina, trovavo il modo per
godermi anche le ore di relax, prima di andare a letto. Ho letto Lindo Ferretti e la sua autobiografia, “la verità dell’Alligatore” di Massimo Carlotto,
ed un paio di numeri di Wired e dell’Internazionale.
Mi son fatto una cultura di televisioni locali e di reti internazionali. Avrei voluto vedere per intero
l’Inter battere il Barcellona, se la televisione non avesse continuato a gracchiare per tutti e novanta i minuti.
E poi ho visto una gran quantità di film.
– in volo, “Questioni di cuore”, Voto 8.
– L’intera serie di “Romanzo Criminale”. Voto 8.
– Good night and good luck. Voto 6,5.
– Fascisti su marte. Voto 6,5.
– Soul Kitchen. Voto 5,5.– Lo spazio bianco. Voto 7.
– Lebanon. Voto 6,5.
– La matassa. Voto 7,5.
– Così parlò Bellavista. Voto 4,5.
– Valentino, l’ultimo imperatore. Voto 8.
– Gli abbracci spezzati. Voto 7,5.
– Accordi e disaccordi. Voto 6,5.

Oh, sono già quasi venti giorni che son lontano da casa.

p.s. le foto, fatte con un iphone, sono meglio che nulla. Per cui magari le pubblico, o magari no.

Nella prigione dorata

Sono ancora in Nigeria. Siamo sbarcati a terra giusto ieri mattina. Dall’elicottero alla jeep, e poi diretti in base. Saremmo dovuti rientrare in Italia già mercoledì ma i nostri passaporti sono fermi ad Abuja per il rinnovo del visto, tra un mese e mezzo sarò nuovamente qui.
I voli poi sono totalmente affollati dopo il caos aereo di questi giorni, ed anche volendo l’unico posto per il nostro biglietto open sarebbe per martedì prossimo. Il piano d’emergenza ci riporterà a casa invece domenica mattina con un volo port harcourt, lagos, Istanbul, Bologna, Milano. Praticamente interminabile. Comincio ad essere stanco, anche perché, finito il lavoro, ci si annoia e vien voglia di casa. Ieri praticamente il morale era a terra, come le nostre valigie.
Qui in base però si sta bene, se non pensassi a ciò che c’è fuori potrei pensare di essere in un villaggio vacanza. Piscina, centro relax, birra, drink e musica.
Fuori invece non si può neanche mettere il naso. Ci si muove soltanto scortati e il rischio di rapimenti è altissimo. La sera prima del nostro arrivo la base era circondata da militari per un mancato pagamento di tasse, e nessuno sarebbe neanche potuto entrare o uscire dalla base. Davvero un gran casino, davvero.

Un’esperienza mistica, o quasi

Giorno 9
Come si dice, se qualcosa può andar storto, puoi star piu che sicuro
che lo farà.
In effetti, davvero nulla è andato liscio, fin da quando siamo
arrivati. Materiale sbagliato, per dirne una.
E poi, il mio di lavoro. Avrei dovuto sbrigare la faccenda in poco più
di due giornate, nella migliore delle ipotesi, ed invece le dodici ore
giornaliere volavano via come se nulla fosse, lasciandomi poco tempo
anche per respirare. In effetti il fiato era continuamente sospeso, e
l'ansia mi ricordava i tempi dell'università, mal di pancia compresi.
Un problema incomprensibile, un po' per tutti, ma che mi faceva
restare al palo.
Le ho provate un po' tutte, ed alla fine, martedi sera, almeno in test
sembrava dovessi poter gridare il mio eureka. Si trattava di provarla
sul campo, adesso.
Ore 10. L'elicottero è venuto a prendermi, questa volta andrò da solo
sulla mia isoletta preferita. A farmi compagnia quattro operatori
nigeriani.
Hanno persino dato una ripulita alla sala di controllo, steso i
tappeti, neanche fossi un re. Anche se, era necessario.
Loro chiacchierano, e qualcuno di loro al piano di sotto pesca. Faccio
appena in tempo un tonno scappare dopo essere quasi giunto a lunghezza
di presa, si vede che anche lui non ha voglia di farsi fregare.
Resto li davanti alla mia postazione per ore, quando esco è oramai
buio. Mi danno la mia cena e torno subito a lavoro.
Sono le dieci e mezza e ho provato davvero tutte le possibilità, tutte
tranne una.
Oramai sono tutti nella stanza, a me ironicamente hanno preparato il
letto vicino alla sedia su cui lavoro.
Provo, per l'ultima volta, che oramai sono le undici e mezza passate.
Non riuscirei comunque a dormire, teso per come sono. Non voglio
fallire, in un'occasione cosi importante.
Tento, e finalmente va.
Halleluja.
Esco fuori, avrei voglia di gridare, ed invece resto il silenzio.
Comincio a girare per la piattaforma dal primo all'ultimo piano, e mi
guardo intorno. Silenzio, interrotto dal brusio di qualche motore.
Guardo il cielo, e perfino lui mi ha regalato una notte limpida.
Salgo nel punto più in alto, dove l'elicottero atterra, e mi siedo al
centro. Le ventiquattro luci in lontananza mi ricordano che non sono
solo, illuminano l'immensità di questo mare.
Butto la schiena all'indietro, mi fermo cosi, a guardare le stelle,
tutte li solo per me, ne sono sicuro, e mi viene voglia di
ringraziarle ad una ad una.
Un'esperienza quasi mistica, giuro.

Mourning

Giorno 7

Non ho molto chiaro quello che succede nel resto del mondo, non riesco
a percepirne le reazioni e le ripercussioni, se non quello che arriva
attraverso le onde trasmesse dalla BBC e la CNN, uniche televisioni
comprensibili ed accettabili tra le poche disponibili.
Il tempo per comprendere è poco, sommersi come si è dal lavoro, e poi
non è comunque voglia. Isolarmi e disintossicarmi non è un gran male.
Non ho potuto però ignorare quanto successo sabato in Russia, con il
disastro aereo in cui è stato coinvolto il presidente polacco, e non
tanto per la gravità dell'evento che, se fossi stato in Italia, non
avrei sicuramente percepito allo stesso modo. Quanto per il
coinvolgimento con cui è stato vissuto a bordo da tutti i membri
dell'equipaggio.
Già sabato, quando ancora ero sulla piattaforma, in attesa
dell'elicottero che mi avrebbe riportato sulla nave principale, il
nostro Venerdì ci informava fortemente dispiaciuto di quanto aveva
appreso dalla tv nella sua cabina.
Giunti qui, la televisione era perennemente puntata sui canali
d'informazione per le ultime novità. C'è il capitano, polacco, e
qualche altro responsabile, ma per il resto l'equipaggio è composto da
locali, tutti allo stesso modo coinvolti.
Ieri, come ogni settimana, si esegue una prova d'emergenza. Ogni uomo
abbandona la sua postazione andando verso il punto di riunione, la
sala mensa, dove viene verificata la presenza di ogni componente.
Ritrovarci tutti insieme nello stesso luogo è stata l'occasione per
condividere quanto era successo e dopo alcune parole del responsabile
per la sicurezza, un operaio, probabilmente anche prete o qualcosa di
simile, ha preso la parola invitandoci a pregare insieme in
un'atmosfera di commozione che avevo difficoltà a comprendere, con i
miei occhi da occidentale assuefatto ed insensibile oramai a tutto
quanto.
Ci penso ancora, e non riesco ancora a comprendere cosa ci siamo
persi, se per noi tutto o quasi scorre come l'olio quando non ci
coinvolge direttamente.

Giornate nigeriane

Giorno 5.

Non fate troppo caso all'odore che veniva fuori dai miei indumenti. E'
davvero insopportabile, lo ammetto.
Ma sono tornato appena qualche ora fa sulla nave principale e mi
sembra già di essere in un grand hotel, recuperando con la
forza del sapone una dimensione più evoluta.
Non ci pensi tantissimo quando sei appena tornato da un posto ficcato
dall'uomo con forza in mezzo all'oceano, le cui fondamenta scavano
fino
giù a 98 m sotto il livello del mare, e ti trovi in compagnia del tuo
team e di unico operatore, il nostro Venerdì, normalmente abitante
solitario
per tutto il suo turno di quest'ammasso di ferraglia. Non ci pensi
troppo, almeno per i primi due giorni, fin quando il tuo corpo non
comincia ad
esigere una dimensione meno estrema.
Con i barracudas lunghi almeno 70 centimetri, tonnetti pinna gialla e
miriadi di sardine e altri pesci sconosciuti che girano sotto ai tuoi
piedi
nel primo livello di questa struttura metallica, arruginita qui e li,
con l'olio ad ungere i passamani ed intorno esclusivamente mare, mare,
mare, in ogni
direzione, interrotta dalla luce delle piattaforme intorno a te, ti
rendi conto che quel luogo ed uno di quelli in cui soltanto in pochi
si sono trovati ad
essere. Tra tutti i luoghi del mondo quello che non si attendeva di
trovarsi tra i piedi un uomo a fare di quell'angolo sua proprietà.
E che l'essenzialità, virtù dimenticata, diventa esigenza con cui
convivere, quando il rancio arriva una volta al giorno, e ti trovi la
sera, seduto
su uno dei tanti gradini con lo sguardo fisso nell'oscurità, dopo una
giornata infinita e terribilmente sfrustrante di lavoro, ed il cielo
che non hai mai visto, con quelle latitudini.
E comunque, pensi che ne sia valsa la pena.

Come una Pasqua

Amico mio, ci si può sentire una Pasqua, molti dei quali comprendono te. Auguri, te li sei guadagnati, anche stavolta

Inabissarsi, a volte è saggio.

Poche parole, per cogliere il senso di questi giorni, in cui ho evitato di tediarvi con le mie idee sul voto e sul vuoto del pd, anche perché ho letto post ben più saggi in giro.
In realtà sono preso da altro, i preparativi per il viaggio in Nigeria rubano ogni mio pensiero. Torno adesso da un ultimo giro di 600 km, e martedì finalmente si parte.
E non sarà mica una vacanza, li in mezzo all’oceano.

Il titolo del post, l’ho preso dal blog di quest’ottima trasmissione di radio popolare, che anche i non milanesi possono ascoltare in podcast.
E poi era un buon titolo, per il primo di Aprile.