Arrivo a Shiraz alle due e trenta di questo martedì. Mezzanotte in Italia, e sono in uno di quei luoghi in cui mai ti aspetteresti di finire, di quelli da apparirmi già così esotici dalle mezzore nel fuso orario. Sono riuscito stranamente a dormire in volo, distendendomi sulle tre poltrone libere dietro al mio posto ufficiale, tanto che una delle hostess ha dovuto scuotermi all’annuncio delle procedure di atterraggio. Stropicciando gli occhi, li ho rivolti verso i sedili più attigui. L’aereo è quasi vuoto e riempito per di più da gruppi di donne, civettuole e bellissime, di ogni età. Hanno già cominciato a prendere dalle loro elegantissime borse, qualcuna di coccodrillo, qualche altra griffata, i foulard che qualcuna ha già sistemato sulla testa. Assisto ad un rito, ad una pantomima collettiva, ad una deposizione di armi, mentre tornano a casa e si mutilano, segnando una resa per un tempo indefinito, nel quale saranno costrette a nascondere parte della loro naturale, innaturale, bellezza.
E’ grande quest’aeroporto. Com’è naturale per una città di quasi quattro milioni di abitanti, ed è moderno, contemporaneo. Nessun problema con il passaporto, nessuna domanda ulteriore dopo Istanbul, dove hanno voluto accertarsi che non sia mai stato in Israele. Accendo il telefono, cerco per abitudine una wi-fi libera, e incredibilmente la ritrovo, senza credere ai miei occhi. Come al Cairo, come non succede mai in Italia. Ricevo qualche iMessage rimasto appeso da qualche ora, ci sono mondo, sono atterrato. Provo a guardare i nuovi cinguettii e le nuove notifiche su fb, ma non vanno, nessun aggiornamento, sembrano bloccati questi siti, come mi aspettavo.
Raggiungo la hall recuperando il bagaglio sul nastro spento e non faccio in tempo a districarmi tra i tassisti locali che vengo raggiunto dal mio contatto. Ci riconosciamo, e mi chiedo se anche lui sia italiano, guardando l’insieme della sua statura, dei suoi occhi azzurri, e del berretto molto occidentale che nasconde una chierica giovanile. Fuori dall’aeroporto gran silenzio, sono intanto già le tre passate e , il nostro autista dorme sul volante della sua Paykan. Guardandomi intorno mi rendo conto da quanto l’insieme sia lontano da ciò che immaginavo. Strade in ordine, aiuole curate, e ai bordi della strada nessuna baraccopoli, ma solo case eleganti e in ordine. Toccherà fare ordine anche tra i miei stereotipi in questi giorni, già penso.
Nulla sembra dare l’idea delle tensioni internazionali raccontate in questi giorni, mentre comincio a fare conoscenza con Amin e il taxi si muove, senza incrociare una macchina, verso questo nuovo albergo.
p.s. Il titolo è chiaro, no?
Si ma non tornare con certi cappellini eh. Sia chiaro.
Ciao,
Emanuele