Non appartengo alla categoria di coloro che pensano di aver trovato l’Eldorado lontano da casa.
Guardo intorno e vedo ciò che non mi piace anche qui. Cosi come facevo giù.
E quando mi ritrovo nella città non ne elenco i difetti per contrapporli a ciò che invece altrove esiste. Li guardo, me ne dispiaccio e forse ne ho persino maggiore consapevolezza per mancanza di consuetudine nel frequentarla.
Ma non ne faccio mai uno scontro di civiltà. Quando qualche conoscente incontrato per le sue strade mi apostrofa dicendo “A Milano si che …” mi viene da rispondere con un sorriso, quanto meno.
Per molti sono probabilmente giustificazioni e autoconvincimenti che rendono meno amaro il distacco, un distacco che raramente è frutto di scelte libere, non dettate dalle necessità.
Ed è certo che qui le possibilità di realizzazione sono moltiplicate, se è questo ciò che si vuole.
Ma fuori di questo, poche frottole.
E’ vero però che i difetti ti vengono subito agli occhi, lanciati in faccia col vento di questi giorni.
E ciò di cui mi lamento più facilmente è lo spirito mesto con cui si è rassegnati un pò a tutto. Alla placida arrendevolezza con cui si accetta il pressapochismo.
Lo guardavo qualche mese fa alla stazione in una serie di cartelloni pubblicitari montati al contrario. Lo guardavo girare e mi chiedevo il motivo per il quale si trovassero cosi bistrattati. Per quale motivo nessuno che li lavora ogni giorno non trovasse tutto quello semplicemente fastidioso.
La risposta è chiaramente nella nostra storia che non trova svolte se non in un declino riscontrabile nel proliferare di cassonetti colmi fino a strabordare e in una generazione (anche la mia, per interdersi) oramai saltata quasi a piè pari, senza rimpianti ne rimorsi.
Come se fosse colpa sempre di qualcun’altro.
Guardo intorno e vedo ciò che non mi piace anche qui. Cosi come facevo giù.
E quando mi ritrovo nella città non ne elenco i difetti per contrapporli a ciò che invece altrove esiste. Li guardo, me ne dispiaccio e forse ne ho persino maggiore consapevolezza per mancanza di consuetudine nel frequentarla.
Ma non ne faccio mai uno scontro di civiltà. Quando qualche conoscente incontrato per le sue strade mi apostrofa dicendo “A Milano si che …” mi viene da rispondere con un sorriso, quanto meno.
Per molti sono probabilmente giustificazioni e autoconvincimenti che rendono meno amaro il distacco, un distacco che raramente è frutto di scelte libere, non dettate dalle necessità.
Ed è certo che qui le possibilità di realizzazione sono moltiplicate, se è questo ciò che si vuole.
Ma fuori di questo, poche frottole.
E’ vero però che i difetti ti vengono subito agli occhi, lanciati in faccia col vento di questi giorni.
E ciò di cui mi lamento più facilmente è lo spirito mesto con cui si è rassegnati un pò a tutto. Alla placida arrendevolezza con cui si accetta il pressapochismo.
Lo guardavo qualche mese fa alla stazione in una serie di cartelloni pubblicitari montati al contrario. Lo guardavo girare e mi chiedevo il motivo per il quale si trovassero cosi bistrattati. Per quale motivo nessuno che li lavora ogni giorno non trovasse tutto quello semplicemente fastidioso.
La risposta è chiaramente nella nostra storia che non trova svolte se non in un declino riscontrabile nel proliferare di cassonetti colmi fino a strabordare e in una generazione (anche la mia, per interdersi) oramai saltata quasi a piè pari, senza rimpianti ne rimorsi.
Come se fosse colpa sempre di qualcun’altro.
Tutto il mondo è paese, questo è poco ma sicuro.
L’eldorado non esiste.
Bisogna saper lasciare la propria terra, bisogna saperla amare.
Bisogna apprezzare i posti che si visitano ma bisogna saper vedere anch’essi con occhio critico.
Esistesse “l’isola che non c’è”, saremmo già tutti li da un pezzo. Politici cittadini in testa, stanne certo! 😉
Ciao,
Emanuele