Ripasso a mente le case in cui ho vissuto, mentre svuoto l’ennesimo scatolone in questo salone con le pareti quasi spoglie di tutto, ma che diventeranno così familiari, adesso che quel senso del possesso che non mai preteso di avere, ha assunto un suono del tutto nuovo. Cerco, mentre gli oggetti accumulati in questi anni vengono fuori, cos’è successo se in tutte quelle mura tra le quali ho poggiato il mio culo non ho mai avvertito per un solo attimo di appartenere a quel luogo, perché mai, tutto d’un tratto è diventato importante tornare ad essere parte di qualcosa e non semplice alieno che si muove in un ambiente non suo. Perché dopo cinque case, venti mura, quaranta spigoli, a volte modeste, a volte sopra le righe, fermare questo senso di precarietà è diventata una necessità.