Il boia dei giorni feriali

Quando morì Saddam ci offrirono la possibilità di assistere a quell’esecuzione, guardammo quelle immagini con attenzione, per nulla scandalizzati. Saziavamo la nostra sete di vendetta, compiaciuti.
Restai stupito, quando qualcuno, la stessa persona che avrei immaginato girare lo sguardo dinnanzi ad una scena di Old Boy, mi confessò candidamente di aver guardato quelle immagini e di averne tratto serenità, o felicità oserei dire, come nell’assistere ad un’espiazione da una ferita. Uscii da quella discussione frastornato nell’immaginare come la deriva di un’educazione non troppo differente avesse generato espressioni così diverse, lontane, da ciò che ritenevo banalmente giusto, assodato, corretto, per una visione del mondo che non facesse riferimento ad immagini da medioevo. Ingenuo, pensavo, che i tempi delle corse alla piazza per assistere alle evoluzioni del boia fossero passati.

Ieri, è chiaro, non si poteva che provare gioia per la fine di una caccia che durava da quasi un decennio, per la fine di un uomo che era riuscito ad instillare in noi il senso della paura, della vulnerabilità, più di chiunque altro. Ed allora va bene il sollievo provato da tutti noi, vabbene l’orgoglio per la vittoria, ma l’ubriacatura collettiva stona, ed anche se un popolo ritrova la sua essenza, la sua unità in questi momenti (e che a noi mancano da sempre), a me sono sembrate persino eccessive  le parole di Obama che ricordano così tanto la legge del taglione. Perché se siamo occidente, se siamo popolo civile, forse dovremmo ricordarcelo di tanto in tanto. Non per buonismo, ma per coerenza.

In alternativa c’è sempre un Papa da beatificare, o una messa a cui assistere, domenica prossima.

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