Tra la polvere di chi ci ha preceduto si raccontano storie che continuano a parlare anche se quel tempo sembra oramai lontano.
Un tempo nel quale la Sicilia era soprattutto terra di contadini, semianalfabeti, vessati dalle leggi del latifondo che lasciavano il minimo per sopravvivere a famiglie che si spezzavano la schiena per giornate intere sulla zappa e sull’aratro. In cui le regole erano fissate, in cui tutto appariva immutabile, come la rassegnazione di quegli uomini e quelle donne.
Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando il mondo davvero appariva ricostruirsi secondo un ordine nuovo. Fu in quel periodo che nacque infatti forse l’unica vera rivolta che questa terra ha conosciuto, almeno in termini di coinvolgimento delle masse. La richiesta di una riforma agraria, sostenuta dal partito comunista, e la nascita del movimento contadino siciliano costituiscono un’epica di esaltazione e sconfitta, che mi pare sia sconosciuta ai più. Portella della Ginestra o l’omicidio di Placido Rizzotto costituiscono forse gli eventi che più sono rimasti nella nostra memoria. Ma in quella battaglia morirono negli anni oltre 50 sindacalisti, e si presentò per la prima volta quella connivenza tra potere e mafia che rappresentò la base per quanto sarebbe avvenuto nei decenni successivi.
Nelle trame di questa storia, che da anni cerco di comprendere, ho scoperto una donna. Giuliana Saladino. Militante comunista durante quegli anni, giornalista dell’Ora di Palermo fino agli anni Novanta, e poi, negli ultimi anni della sua vita anche assessore alla cultura del comune di Palermo durante il periodo della “Primavera” e della prima giunta Orlando. È attraverso però i suoi unici libri, scoperti con assoluta casualità, che sono venuto in contatto con la sua scrittura e la sua personalità. Entrambi i libri, pur prendendo spunto da eventi apparentemente lontani, si riallacciano continuamente alla storia di quegli anni di lotte e alle successive delusioni. Nel primo, Romanzo Civile, si parte dalle riflessioni per la malattia e successiva morte di un caro amico, Lillo Roxas, per ripercorrere gli anni del girare furioso per le campagne per coinvolgere contadini in quella battaglia così cruciale. Ma è un libro ampio, che parla di morte e di vita, di passione e delusione, e che in un certo senso racconta molto della maturità di tutti noi, nella quale all’entusiasmo delle passioni collettive, di speranze di capovolgimento della realtà, si sovrappongono delusioni che portano ad un rifugio privato, in cui semmai trovare una strada personale verso ciò che una volta muoveva corpi interi.
In Terra di Rapina lo spunto nasce da una rapina finita male nel Nord Italia, ad opera di un giovane siciliano e della sua banda, che finisce per essere linciato dalla folla durante il suo arresto. Il pretesto è un modo per tornare indietro alle cause che hanno portato quel ragazzo, da bracciante, figlio di generazioni di contadini, a diventare un criminale. Dalla fame degli anni dell’infanzia, alle speranze che nascevano in quegli anni intorno ai movimenti contadini e alle solfare, che sfiorano soltanto marginalmente il ragazzo, ma che raccontano il bisogno di un futuro diverso da immaginare, e che la mancanza di soluzioni alternative conduce verso il crimine. Ma dalla storia personale, la vera rapina che viene raccontata è proprio quella dei sogni di una generazione che attraverso le lotte contadine pensava di poter ottenere tutto ciò che finora gli era stato negato, persino l’ingresso al “Jolly Hotel”, come dice Giuseppe di Maria, il rapinatore protagonista del libro. Infatti, quelle lotte finiscono in una delusione, in una legge truffa, attraverso la quale la Democrazia Cristiana, insieme ai grandi latifondisti e ai mafiosi, ridistribuisce le terre aggirando la legge Gullo e distribuendo soltanto pietraie e terreni inutilizzabili ai contadini, che soltanto per un paio di anni si illudono di essere diventati proprietari terrieri. Dopo i quali la fame torna come prima, insieme ai debiti contratti per l’acquisto di quelle terre, e nasce l’esigenza, l’obbligo, di scappare dalla Sicilia. Da lì, le grandi emigrazioni degli anni 50/60 verso il Belgio, la Germania, il Nord Italia, e altre storie di povertà ed umiliazioni, mentre la Sicilia, la vera terra di rapina, perde quasi ogni speranza.
Due libri sinceri e crudeli che fanno fatica a non lavorarmi sottopelle. Giuliana Saladino, senza dubbio, fu una scrittrice e una giornalista d’inchiesta incredibile, forse oramai poco conosciuta, ma soprattutto una donna molto importante per la storia della Sicilia e di Palermo.
Per chi volesse poi saperne di più sulla sua vita esiste un documentario, che ne fa un ritratto completo raccontandola dagli anni della giovinezza fino agli ultimi suoi giorni. https://vimeo.com/77504466