Un giorno i Siciliani si svegliarono, si guardarono in giro, e si resero conto di tutto quanto intorno a loro non andasse per il verso giusto. La benzina non arrivava più alla sua naturale destinazione, le autostrade erano bloccate, i mercati vuoti e della gente con dei forconi pacatamente faceva notare quanto tutto questo non fosse più ammissibile.
Una terra così naturalmente ricca, geologicamente, morfologicamente e, diciamolo, umanamente, era stata da troppo tempo sfruttata ignominiosamente da gente che, restando su scranni lontani, aveva arraffato tutto a se contribuendo a costruire granello per granello, le dune di quel deserto che adesso faceva da panorama ad ogni scorcio della Sicilia.
Ne cercavano le cause, e si chiedevano come mai non fosse bastata la forte contrapposizione esercitata in quegli anni, quell’esercizio continuo di resistenza verso quelle forze meschinamente avverse. Nei bar ci si toccava di spalla ricordando tutte quelle volte in cui avevano rifiutato di saltare una fila in ospedale per la visita medica per la propria madre malata, nonostante conoscessero personalmente il primario. Raccontavano di quando distribuivano buoni pasto ai mercati rionali ma loro preferirono rifiutare quell’indegnità e piuttosto preferirono spezzare il poco pane che avevano in quattro parti. Qualcuno raccontava di quanto fosse stato difficile rinunciare all’aiuto offerto dal compare, onorevole all’Ars, per sistemare adesso quel figlio che era costretto a vivere a Basiglio, in provincia di Milano, tremante dal freddo. Pensavano a quanto cercarono in ogni modo di fare a meno dell’assegno di disoccupazione, con cui potevano benissimo campare (grazie anche pensione del nonnino che strenuamente resisteva ancora) lavorando soltanto 151 giorni all’anno. Il panettiere del paese pensava a tutti quegli scontrini puntualmente emessi, e tutti, più genericamente, si interrogavano sul perché di quella situazione. Ricordavano tutti un 61 a zero nelle elezioni recenti, ma pensavano a chissà quali brogli avessero consentito quella vittoria schiacciante, giacché non conoscevano nessuno così stupido da votare per chi non aveva mantenuto una promessa che fosse una in più di cinquantanni.
Arrivarono alla conclusione che il problema non potesse essere in loro, e allora si misero a cercarlo altrove. Guardarono a quei politici regionali, brutta gente, messi in quella posizione da chissà chi. Pensarono a Roma, che non aveva mai sganciato un euro che fosse uno per loro. Pensavano all’Europa e a quei fondi FAS che dicevano sarebbero arrivati e chissà come non arrivavano mai, dispersi chissà dove. Chissà da chi.
Si unirono allora a quelle proteste così veementi, e guardarono ai tg nazionali, che dopo due ore dall’inizio delle manifestazioni, non avevano dispiegato tutte le proprie forze per assistere alla straordinarietà di un popolo che finalmente si ribella. Mostrando un servilismo del quale avevano un’ulteriore dimostrazione. Si resero conto che la misura era colma, e che avevano proprio bisogno di alcuni arruffapopolo per smuoversi finalmente dal letargo, e mirare nella direzione giusta, qualsiasi essa fosse. Anche a costo di spostare l’isola lontano dai radar che la ponevano all’interno di quel mondo, e dei suoi casini, di cui non si ritenevano parte. Degni abitanti di un paradiso violato.