Vite che non sono la mia

Nella mia stanza d’hotel al Cairo, con la febbre ancora alta, ho finito di leggere il mio secondo libro di Carrerè, dopo Limonov.

E come dopo quella volta, sento l’esigenza di scriverne. Sono storie vere, di due lutti vissuti da vicino dall’autore. Il primo, a seguito lo tsunami del 2004 in Sri Lanka di una bambina in vacanza con i suoi genitori in quell’isola.

Il secondo, quello della sorella della propria compagna, brillante giudice nella provincia francese. Raccontare del dolore e di chi deve sopravvivere all’assenza con tale lucidità e verità ti scuote dentro, tanto più che la morte è per tutti noi soltanto qualcosa di cui parlare il meno possibile, per non disturbare lo stato di amnesia in cui siamo immersi.

Eman

La vita mi ha reso testimone di queste due disgrazie, una dietro l’altra, e incaricato, o almeno così ho capito, di renderne conto. A me le ha risparmiate, e prego continui a farlo. Mi è capitato di sentir dire che la felicità si apprezza a posteriori. Che pensiamo: non me ne rendevo conto, ma a quel tempo ero felice. Per me non è così. Sono stato a lungo infelice, e molto cosciente di esserlo; oggi amo quello che è il mio destino, e della sua amabilità non ho grande merito, la mia filosofia si riassume nella frase che, la sera dell’incoronazione, avrebbe mormorato Madame Letizia, la madre di Napoleone: “Speriamo che duri”

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.