Ogni volta che faccio migrare un libro dalla mia cameretta d’adolescente alla nuova libreria a millequattrocentosettantotto chilometri di distanza mi ritrovo proiettato in una dimensione nella quale mi ritrovo seduto in qualche angolo della casa a rileggere quelle pagine, e mi ritrovo a pensare al potere evocativo che hanno gli oggetti per tutti noi. Senza oggetti a ricordarci pensieri che pensavamo di avere smarrito, a rievocare le emozioni che in quel momento avevamo vissuto, avrei la sensazione di perdere la terra sotto i miei piedi. Sfoglio le pagine, rileggo le parti che avevo sottolineato, e quei pensieri riaffiorano.
E non ne faccio un discorso di melanconia o, ancora di nostalgia. Ero molto più nostalgico a vent’anni, a dire il vero. Quando avevo molto meno da ricordare, molto meno da rimpiangere. Quando ascoltavo i discorsi degli anziani sui bei tempi andati e tutto sembrava immensamente affascinante, ed immaginavo posti disabitati ripopolarsi attraverso i loro racconti.
Adesso, piuttosto, il passato sembra relegato ad un angolo nel quale vado a ripescare raramente, e non so se si tratta di una sorta di autodifesa realizzata dal mio organismo, o piuttosto uno degli effetti collaterali della maturità, nella quale ogni istante che vale la pena di vivere è esclusivamente quello che adesso sto vivendo.
Ma gli oggetti, dicevo. Gli oggetti, adesso, proiettato sull’istante in cui esisto, assumono un sapore che diventa imprescindibile. Mi ricordano ciò che ero. Ciò che pensavo potessi diventare, quando sarei stato grande. Mi portano a fare i conti con me stesso, a fare i conti con i sogni che a quell’età coltivavo.
E sarà così sempre.
Leggevo, qualche mese fa una nota ad un’opera esposta al Museo del Novecento di Milano. L’opera rappresentava un libro aperto dal quale tutte le parole erano state cancellate. La nota spiegava che gli oggetti servivano proprio a questo. Poiché le cose imparate permettono soltanto di comprendere che apprendere significa prima di ogni altra cosa dimenticare, gli oggetti agiscono da rammendatori del pensiero.
Sono importanti non in quanto simpatici ammennicoli per adornare le nostre case, per riempire una parete vuota con una libreria o una discoteca. Sono importanti perché anche solo osservando quegli oggetti i nostri pensieri riprendono a tessere pensieri abbandonati e che, magari, del tutto inutili non erano.
Ed é strano che dopo anni di infatuazione per la rivoluzione digitale, dopo le discussioni con gli amici innamorati dell’odore della carta sulle infinite possibilità che la rivoluzione liquida degli ebook e della musica in streaming, mi ritrovi a rivalutare l’importanza di elementi che ritenevo retaggi del passato.
Ma come farei senza sfogliare il libretto di un cd o la quarta di copertina in un libro a ricordare quello che ero? Non potrei, perché io dimentico tutto. Sono distratto per natura. E senza oggetti, non saprei proprio come fare.
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