Evidenzio una differenza. Guardo da lontano il modo in cui i palermitani guardano al Festino, come osservano e come partecipano ad una tradizione, ogni anno diversa, ogni anno tradizionalmente uguale da trecento ottantotto anni.
Penso alla spocchiosa maniera con cui tanti pensano a questa sfilata per le strade del Cassaro, tra folle appiccicose, sudate come solo lo si può essere in spazi così stretti e affollati in una notte d’estate. Allo sfuggire per le strade dell’Albergheria, cercando di recuperare terreno per capire cosa accadrà in qualche altro incrocio essenziale, ai Quattro Canti dove il sindaco griderà, forse, quest’anno, il grido che si aspetta come segno di appartenenza e di partecipazione.
Una ressa popolare e profana a cui è nettamente meglio non partecipare. Come fanno per la maggior parte i palermitani. Quelli che non hanno voglia di sudare, quelli che semplicemente se ne fottono, quelli educati a guardare con distacco a questi eventi popolari, così come si faceva negli anni settanta, quando il dialetto si doveva nascondere, gli scarponi sporchi di terra riporli nell’armadio ed indossare il vestito del buon cittadino moderno. Come si faceva così in ogni angolo della Sicilia, del Sud. Come si faceva allora. Probabilmente ovunque.
Poi tutto è cambiato, nelle trionfo delle tarante e delle tarantelle, delle foto in bianco e nero delle pubblicità di Dolce e Gabbana, delle coppole d’arte vendute alle bancarelle, nell’ambientalismo di ritorno ad un mondo che si vorrebbe fermo mentre tutto il resto, le nostre vite, si muovono ad un’altra velocità.
Una sensazione che percepisco anche nella differente partecipazione tra chi è rimasto e chi si è distaccato da quei luoghi. Tra chi, essendo parte di quei luoghi, non ha bisogno di quei giorni per ribadire un’appartenenza. E tra chi, pur non avendo mai partecipato al Festino, a feste come quelle, sente il bisogno di esserci, almeno qualche volta, almeno quest’anno, per la necessità estrema, epidermica, di ricordarsi cosa si è, nonostante ciò sia soltanto una proiezione di un mondo di cui non si è mai stati parte.
Credo, a conti fatti, di aver passato molte più Estati della mia vita ( e di conseguenza altrettanti 14/15Luglio..)fuori Palermo che non il contrario…da quando ho messo in pausa il mio “moto perpetuo” ho sempre cercato un/a “compare/commare” di Festino, ma mi sono sempre sentita rispondere con frasi negative che alludevano al caldo, alla bolgia, al “pericolo”, al fatto che per le strade c’è solo il “popolino” e ovviamente la risposta più gettonata era “Aiiiiiààààààà è pieno di ‘TASCI’!!!!”…perchè il folklore è sempre sinonimo di “tamarraggine”, anche nell’epoca in cui Dolce e Gabbana ci sbattono sotto gli occhi una Sicilia ancient o vintage ma un po’ patinata…sono i radical chic quelli che si adornano il capo di coppole d’arte accostate a sciarpe di cotone egiziano o kaftani vaporosi, sono loro quelli che appendono ai loro muri di casa “pezzi” di carretti siciliani…per la nostra generazione, soprattutto per quelli che appartengono o forse credono di appartenere alla “Palermo bene” o a “quella che conta”, il Festino si svuota di significato, diventa solo una bolgia di tasci che sgranocchiano “calia e simenza” o forse solo la scusa per organizzare mega feste su qualche terrazza “vista-Cala” o sulla barca “dell’amico-del fidanzato-della cugina-di mio compare che è tornato a Palermo apposta per il Festino perchè da quando vive fuori dice che non ce la può fare a non respirare questa boccata piena di Palermitanità!”
Io personalmente, le coppole le lascio ai turisti o ai volti esotici..e casa mia l’arrederei anche senza pezzi di carretto ( anche se qualche maiolica di recupero da qualche palazzo del ‘500 la farei mia all’istante!), ma posso andare fiera del fatto che quell’unico Festino a cui ho partecipato è stato quello del 1999, sotto la direzione di Jerome Savary, coreografato dal balletto di Santiago de Cuba…ero nel corpo di ballo, in mezzo alle spose, con la mia gonna bianca recuperata dai costumi di un altro spettacolo, a percorrere il Cassaro a passo di Salsa in mezzo ad un tripudio di colori, suoni, odori..a vedere danzatori come me ma provenienti da stili e continenti diversi, di diverse etnie,corporature ed età, fondersi in un unico corpo che avanza senza sosta ed esplode ad ogni incrocio in una coreografia godereccia e gioiosa…per poi urlare tutti insieme, non in italiano ma in spagnolo, LA FRASE che fa esplodere il cuore della città:”QUE VIVA PALERMO Y SU SANTA ROSALIA!”…e da lì di nuovo fagocitati nel carnevale…
Ecco, sono orgogliosa di averne fatto parte, di aver respirato la gioia, il sudore e il delirio (quell’anno c’era aria di contestazione)di quella notte…quella notte mi sono innamorata ancora di più della mia Palermo…perchè sarà “tascio”, sarà radical chic, sarà sudato e accalcato ma il Festino è come un termometro per Palermo…è una cosa da vivere, almeno una volta nella vita…che tu possa percorrere ogni giorno il Cassaro o che lo faccia solo quell’unica notte all’anno…e tra sacro e profano comunque mormorando nel cuore il piccolo miracolo che chiedi…per i ringraziamenti alla Santuzza siamo tutti rimandati a Settembre!