Rumore

Preparatemi una novalgina.
Ho già il mal di testa all’idea di un mondiale con il rumore di fondo dei tifosi sudafricani con quelle odiose trombette. Ma le hanno ingoiate?
Nessuna differenza tra un gol ed un passaggio, ma lo stesso identico ronzio.
Inventatevi un filtro apposta per eliminarlo!

Justice

Ieri sera per un aperitivo sono stato trascinato ad Arcore, qui vicino. Il nome era altamente evocativo da non poter rinunciare. Soprattutto quando ho saputo il nome del locale:Secondo me il proprietario è un genio.

(da notare la pessima qualità delle foto del mio telefonino. E che me ne frega?)

Scritto e riletto?

Scrivo scrivo scrivo.
Ma scrivere è una cosa seria.
Sarebbe più sensato ad esempio rileggere ciò che si scrive. Abitudine che non ho mai preso sul serio.
Si vestono i panni del lettore pensando a cosa potrebbe pensare leggendo.
Ci si accorge dei propri difetti, delle proprie imperfezioni.
Spesso mi tiene lontano dall’esercizio della scrittura questa paura di non saper trovare le parole giuste, il tempo per dare ai periodi la giusta importanza.
Altre volte penso che comunque questa qui è una palestra, ed allora scrivo di getto.
In fondo questa qui è solo una palestra.

Rivoluzione in corso.

Sto seguendo poco, per mancanza di tempo, quanto sta accadendo in Iran.
Qualcosa su cui il mondo non può stare a guardare.
Ed ancora una volta Internet, con i suoi demonizzati mezzi (vedi Twitter e i blog), fa quello che i giornali non sanno fare più. Raccontare.

Un ottimo bignami lo potete trovare dall’ottimo Francesco Costa, qui.
Qui invece l’account Flickr di Mousavi, fin quando sarà attiva, e qui la pagina di twitter con le notizie in tempo reale dall’Iran.

P.s.

A proposito del mio post di ieri, una precisazione polemica sull’articolo la fa Silvia nei commenti.

Un filo che non si può spezzare.

Posso sentire i rumori della campagna da questa terrazza. I rumori dell’estate, qualche ranocchio gracidare nel rivolo d’acqua qui davanti, l’impianto d’irrigazione del mio vicino, il frinire dei grilli. Sembra perfetto per poter tornare a scrivere senza distrazioni.
Vivere qui assume tutt’altro valore in queste giornate estive. L’allergia che ha accompagnato la mia primavera sta quasi convincendosi ad andar via, lasciandomi godere tutti i vantaggi.
Tuttavia credo di essere antropologicamente imperfetto per vivere in quest’ambiente, di essere costruito per essere circondato da tutt’altre essenze.
Non potrei da contadino vivere tra i campi piangendo e starnutendo l’intera giornata. Il mio raccolto andrebbe in malora velocemente. L’allergia si aggiungerebbe ai motivi che mi terrebbero comunque lontano.
E’ sempre stato cosi. Sono sempre scappato dalle fatiche dei campi, fin da piccolo. Quando mio padre mi portava con se, più per compagnia, a dire il vero, che per cercare aiuto, mi annoiavo a morte e non vedevo l’ora di scappare a casa, tornare a rincorrere un pallone per i vicoli del casale.
Ne ero insofferente, ed allo stesso tempo sentivo forte il legame a quei luoghi e a quegli odori. In fin dei conti la mia è sempre stata, chissà per quanti secoli indietro, una famiglia di contadini, artigiani della terra. La cui vita era scandita dai raccolti, dalle semine, dalle mietiture, che di tanto in tanto adesso ritornano nei racconti dei miei nonni. Storie semplici e bellissime, che un giorno dovrei decidermi a raccontare.
E’ da li che vengo. Da “cittadino” trascorrevo i miei fine settimana tra quelle case di campagna, tra l’abbeveratoio al centro del paese, la fontanella dove andar a prendere l’acqua da bere, i vecchi seduti al “fresco” a passar la giornata e i più giovani tornare dai campi a sera, fermandosi a scambiare i commenti sulla giornata di lavoro.

Ancora oggi, tornando li, sempre tutto cosi simile a se stesso. Le case, per fortuna, non si sono mai svuotate del tutto, chi se ne è andato ha lasciato il posto a nuovi arrivi che hanno ridato vita a quello che sembrava destinato a sparire.
Non poteva che restarmi nelle vene quell’atmosfera.
Era un desiderio di qualche tempo fa poter restaurare ciò che li abbiamo, e magari fare qualcosa in più. Un’altra utopia da aggiungere alla mia valigia già troppo carica di sogni.
Intanto mi ritrovo qui ogni sera ad annaffiare questo piccolo pezzo di terra che trovo davanti casa, questo piccolo orto che con mio padre abbiamo messo su nei giorni in cui mi ha fatto compagnia. Le piante di pomodoro già profumano, le lattughe, gli spinaci sono prossimi al raccolto.
E cosi, seduto in questa terrazza, sotto questo cielo, mi piace pensare a quel bimbo che restava sotto l’albero a guardare suo padre dare di zappa su quel podere, ed al padre adesso guardare quel filo non spezzarsi mai, pensare a quel seme che non sapeva allora se mai avesse dato dei frutti.

Immagini da Tehran oggi

Insieme

C’è qualcosa in questo articolo, oggi su Repubblica Palermo, mi rende intimamente felice.
AddioPizzo rappresenta una delle migliori risorse di Palermo, in cui uno spirito di rabbia ed impegno di fondono per cercare di smuovere le acque fin troppo stagnanti nella città. Rappresenta la parte migliore di quella generazione che nel ’92 su scossa da quelle bombe al tritolo e che non ha mai dimenticato. A cui, anche se non partecipandone attivamente, molti di noi hanno guardato sentendosene parte.
Avevo avuto modo di entrare in contatto con loro durante alcune attività scout, ma quando l’anno scorso Silvia cominciò a collaborare con loro non potevo che esserne felice.
Giorno dopo giorno ho visto crescere il suo coinvolgimento, il suo entusiasmo, nel sentirsi parte di qualcosa di cosi importante, e ho cominciato a sentirmene parte anch’io attraverso i suoi racconti. Soprattutto adesso che il suo ruolo è diventato cosi centrale, ed in cui a maggior ragione fa parte con continuità dei nostri dialoghi.
Per Ale ho sempre pensato fosse più semplice, dovuto, questo percorso visto ciò che è sempre stata la sua vita. Gli anni passati a Firenze lo avevano tenuto distante da questa scelta di partecipazione, ma ero un passaggio dovuto, e credo che il contributo di Silvia abbia comunque avuto il suo peso.
Non so quanto durerà ma vederli li, in quella foto, condividere quest’esperienza e vederli insieme aldilà di me, è un valore aggiunto, un regalo, per me.

Dittatori

Guardate, il colonialismo è stata una cosa seria. Ma all’Eritrea abbiamo chiesto scusa pure, no?

Non so perchè questo campeggio a Villa Phampili di un dittatore, già controfigura di Weekend con il morto, che viene qui a dare lezioni di democrazia, parlare di terrorismo, ammonisce gli industriali italiani dal dare mazzette, riceve lauree honoris causa in Giurisprudenza, tiene lezioni laddove neanche il Papa riuscì ad entrare, comportandosi sempre senza il dovuto rispetto che spetta non solo all’ospitante ma anche all’ospitato, mi danno l’idea di una grande leccata di c…. di cui sappiamo chi dover ringraziare.

P.s. Siamo sempre quel paese in cui nessuno voleva ospitare il Dalai Lama, no?

Lost in Berlusconi

Tutto si può spiegare. Basta che a raccontare la storia siano gli sceneggiatori di Lost.

(via Wittgenstein)