Ci vuol un bel fegato a vivere pensando che potresti essere ammazzato in qualsiasi istante, a vivere segregato lontano dal mondo che desideresti vedere soltanto più pulito.
Vivere costretto a rinunciare a tutto ciò che dovrebbe essere “normale” per vivere da latitante, confondere la tua vita con quella dei tuoi nemici in un eterna caccia tra guardie e ladri in cui le parti si confondono e si invertono miseramente.
E riuscire a raccontare la tua morte in una canzone dal titolo cosi evocativo, quel cappotto di legno a cui può essere destinato continuando su questa strada, e raccontare senza paura le tue angoscie.
L’ho sentita un paio di giorni fa a B-side, sapevo della presentazione nella trasmissione di Bertallot, e cosi sintonizzando la radio su quelle frequenze ho sentito quelle note cosi crude in quella commistione tra musica classica e rap che volevo anche voi conosceste.
Per chi già conosce Saviano e chi dovrebbe leggere il suo libro.