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Greetings from Dubai/2

Dal punto in cui lavoro in questi giorni posso vedere l’intero profilo della città. Certi giorni sparisce dietro una coltre di umidità lasciando emergere soltanto le cime più alte, come se fossero un miraggio davanti ai miei occhi umidi di sudore.
E’ una grande nave, quella su cui sono, riconvertita in FPSO. Nei prossimi mesi lascerà il Drydocks, passerà intorno all’Arabia Saudita, si aspetterà attacchi di pirati, vicino alle coste somale, supererà quel budello del canale di Suez per poi giungere nel mare al largo della Puglia, dove resterà per chissà quanti anni ad estrarre dal sottosuolo tutto ciò che potrà (…ambientalista dei miei stivali).   Nei nostri cantieri non poteva neanche stare probabilmente, per  la sua grandezza, o forse era ancora più conveniente far tutto questo giro che provare a costruire questa enormità dalle nostre parti.

Qui, di certo, gli spazi non mancano e continuano a conquistarne dei nuovi. L’area che vedo intorno alla mia postazione credo sia stata rubata al mare non molto tempo fa, mentre di nuova ne viene conquistata ogni giorno. Nei primi giorni pensavo che non fossero niente male quei laghetti che vedevo lì intorno. Poi ho capito che stavano lì aspettando il prosciugamento totale, mentre delle idrovore aiutavano il processo e dei caterpillar si muovevano minuscoli, dalla mia prospettiva, trasportando vagonate di sabbia, come se di deserto non ce ne fosse abbastanza appena fuori dalla città, o anche già in ogni angolo di terra non asfaltata.
Non passerà neanche troppo tempo prima che una delle loro follie prenderà forma nella penisola che pian piano stanno creando. 

Comincio ad apprezzarli per la loro ostinatezza che va contro ogni legge di natura nel creare un mondo dove non è concesso neanche di respirare a pieni polmoni.

Greetings from Dubai/1

Ho solo capito, in una settimana, che devono essersi annoiati parecchio per millenni, questi emiri. Per cui non gli deve essere sembrato vero un giorno mettersi a giocare a SimCity, e farci uscire fuori di testa, a noi che ci troviamo a passare da qui.

Hanno aperto un grande canale d’importazione di indiani, tant’è che nove su dieci sono dei loro, e li hanno messi a tirar su mattone su mattone giocattoloni immensi con cui trastullarsi e trovare ristoro dai quaranta gradi, ininterrotti, e dall’afa che mi sta facendo perdere tante di quei sali minerali da disidratarmi completamente.

E finalmente hanno trovato che fare, il giovedì sera. Sennò sai che noia.

(poi, magari, ve la racconto meglio, com’è che funziona questo posto che sembra Marte in un libro di Philip K.Dick)