Leggevo qualche giorno fa che correre una maratona danneggia il cervello, almeno per qualche mese.
Forse per questo bisognerebbe evitare di prendere decisioni un po’ folli in quel periodo, come ho fatto quando ho deciso di iscrivermi al Passatore.
Il Passatore è sicuramente la più nota ultramaratona su strada che si tiene in Italia, su un tragitto che parte dal Duomo di Firenze per giungere a Faenza, in un percorso di cento chilometri che attraversa l’Appennino. Il suo nome deriva da una figura mitica del Passator Cortese, un brigante vissuto nel’800, e mitizzato come una sorta di ladro gentiluomo, una sorta di Robin Hood della zona.

Mi sono lanciato quindi in una sfida che supera di gran lunga quanto finora ho fatto, portandomi in un territorio sconosciuto, del quale non conoscevo contorni e sensazioni.
Se una volta, correre una maratona mi sembrava un qualcosa di assurdo, la preparazione a questa corsa prevedeva 40 km quasi ogni domenica, se non di più. É stato un percorso impegnativo e logorante, anche per chi mi stava intorno, e mi consentiva di trovare questo tempo per gli allenamenti.
Ad ogni modo, una volta presa la decisione di partecipare, non é più tempo per tirarsi indietro. Così eccoci il 24 maggio sul treno che ci porterà a Firenze. Lunga fila per il ritiro pettorali, una pasta fredda per caricarci ulteriormente di carboidrati, ed alle 15 siamo pronti per la partenza sotto la cupola del Brunelleschi.


La strada sale fin da subito verso Fiesole, ed il pensiero va a quella trattoria dove un giorno, festeggiando una laurea, mangiai la prima fiorentina degna di questo nome. Ma non è ancora il tempo per le crisi di fame, e la strada è ancora lunga. Le strade e i primi paesi accolgono noi corridori con un’atmosfera da festa di paese, e tutto prosegue più o meno nella normalità fino a Borgo San Lorenzo, quando comincia la lunga salita che porta verso il passo della Colla. Inizialmente corribile, si fa intensa soprattutto negli ultimi dieci kilometri, nei quali comincio a camminare. Prendo l’ultimo gel, sento le caviglie che non si piegano come dovrebbero, i talloni che sbattono a terra più del dovuto, ed ogni volta che tento di correre smetto subito dopo.
A qualche chilometro dalla vetta la nausea mi attanaglia, ma voglio assolutamente raggiungere la vetta. É ancora giorno, e penso che sia già un buon risultato essere lassù con questa luce, almeno da ciò che ricordo dei racconti chi l’ha già vissuta.

Sono alla Colla in 5 ore e 50 minuti e finalmente comincia la discesa, nella quale spero di recuperare un po’ di mobilità. In effetti è ció che succede. Il cielo comincia ad adombrarsi e tra gli alberi del bosco cominciano a vedersi le prime stelle. Oramai qui é solo silenzio, passi di noi corridori, e la valle che si apre intorno a noi.
Ho solo un pensiero, quando arriviamo al sessantesimo chilometro, e voglio togliermelo dalla testa in ogni modo. Mancano ancora quaranta chilometri, cazzo. Cerco di pensare ad altro, ma la mente continua a tornare sempre lì. Mi do obiettivi intermedi, penso a qualsiasi cosa, ma poi sono sempre lì, mancano ancora 35, 34 e poi 30.
Fin quando all’ennesimo ristoro non mi sento chiamare. É Ale, mio fratello, vicino ad un ambulanza. In crisi. Mi fermo con lui. Siamo oltre il settantesimo chilometro. Restiamo fermi per un po’ in un bar. The caldo, vomito e limonata. Cosa fare? Fermarsi o ripartire?
Tenendo inascoltati i consigli di chi è lì con noi, tentiamo di ripartire. Ma non va. Cerco di tenere il ritmo io, che normalmente corro sempre alle sue spalle, ma non riesce ad andare avanti.
Così non ha senso continuare. Raggiungiamo l’ennesimo ristoro, e finisce la nostra gara. Di chilometri ne abbiam percorsi 77. Non me la sento di lasciarlo in queste condizioni.

Avrei potuto forse continuare, ma la verità é che vedere lui fermarsi é stata probabilmente una liberazione anche per me. Come sempre, la competizione fraterna, sarebbe stata uno stimolo per continuare, e se probabilmente non avessi incontrato lui in crisi, non avrei mollato anche io.
Ad ogni modo non ho rimpianti, sono stranamente appagato in ogni caso. Ho misurato ciò di cui sono capace, sono andato oltre a ciò che conoscevo, e ho imparato qualcosa.
Probabilmente non sono pronto per queste distanze, ed in questo momento, così come quando correvo, non comprendo ancora a pieno la bellezza del correre distanze così lunghe.
Forse le ultramaratone non fanno per me, oppure il tarlo di questo parziale fallimento mi scaverá dentro fino a farmi riprovare quest’avventura.
Le cose che dovrò ricordare, in tal caso, saranno queste:
- Porta con te sempre una giacca antivento, una maglia termica e dei guanti
- Bevi tanto, anche più del dovuto, per non ritrovarti con una cistite nel bel mezzo della gara
- Usa le scarpe più ammortizzanti che hai.
- Allenati sulle salite. Non ne fai mai abbastanza.












