Di Mango ricordavo le giacché oversize nei Sanremo annoiati di Pippo Baudo, quelli che cercavamo di evitare e che adesso vengono beatificati, il questo culto perenne per la nostalgia.
Ma di Mango, tornando a lui, non mi piaceva nulla, mi suonava come un suono antico, con quella sua voce cantilenante e quasi eterea.
Quest’estate, nella quale mi sono preso il tempo per maneggiare con continuità posti dai quali cerco di allontanare il pensiero il piu possibile, per non diventare vittima della malinconia, la voce di Mango é stata una riscoperta e una colonna sonora, la compagnia perfetta per certi paesaggi e sensazioni.
Canzoni come Mediterraneo, sono poi, perfette in questo senso, anche grazie alle parole di Mogol.
É il mediterraneo, nella sua essenza, il Sud.
La montagna là / e la strada che piano vien giù
tra i pini e il sole / un paese
Mediterraneo da scoprire
con le chiese
Mediterraneo da pregare
Siedi qui / e getta lo sguardo giù
tra gli ulivi / l’acqua è scura quasi blu
e laggiù / vola un falco laggiù
sembra guardi noi / fermi così
grandi come mai
Guarda là / quella nuvola che va
vola già / dentro nell’eternità
Quella lunga scia / della gente in silenzio per via
Non so se potrei definirmi animista, se gli oggetti contengano un anima o hanno soltanto un potere evocativo, portando con se un ricordo o una sensazione vissuta. Cosí, ridare vita a delle vecchie tavole di castagno, abbandonate in un angolo da cinquant’anni o forse più, e portarle adesso a una vita nuova, in una nuova casa, é come creare un ponte con un mondo antico e con quell’uomo che quelle tavole lavoró la prima volta. Mio padre.
Avrò visitato davvero abbastanza paesi, si chiede il viaggiatore competitivo e che, come in una giornata di lavoro, valuta le sue performance anche durante le vacanze.
Sui socialini vari é tutto un fiorire di classifiche dei posti da visitare nel 20xx, la lista di quelli che hai già visto, nei negozi di cianfrusaglie varie, di cartine geografiche dalle quali grattar via i luoghi già visti.
Il viaggio diventa quindi un’esperienza orizzontale, sulla quale surfare, in attesa della prossima onda. E non sto arrivando a dire che surfare sia brutto, anzi. Viaggiare per vedere, anche solo per qualche giorno, un luogo nuovo, soprattutto se molto diverso da ciò che conosci, é rigenerante, é utile, persino.
Ma se c’è una cosa che ho capito, é che non serve a niente accumulare. Il famelico desiderio di afferrare tutto, che ha sempre fatto parte di me, ha cominciato a lasciare spazio al desiderio di scendere in profondità. Se potessi viaggiare davvero, vorrei poter stare in un luogo almeno qualche mese, soltanto così potrei aver pensato di capire almeno qualcosa di quel luogo.
Ho bisogno di tempo, per assaporare qualcosa. Ed allora va bene, anche visitare ogni anno lo stesso luogo, ed ogni anno scoprire qualcosa che ancora non conoscevi, incontrare gli stessi volti e salutarti, saper qualcosa delle loro vite che vada oltre l’incontro fortuito per una settimana o per un’ora. Saper dove comprare il pane e dove il pesce. Nel quale aver il tempo per annoiarti e star anche fermo per un po’.
É così che il viaggio perfetto diventa quello verticale, in profondità. O almeno questo é ciò che penso.
Zorba viveva la vita come pura emanazione della libertà di spirito, senza sovrastrutture di pensiero nel cercarne scopo o significato. Amava quando voleva, suonava quando lo desiderava, lavorava fino a sfinirsi. Aveva vissuto molte vite, Zorba. Girava il mondo come se fosse alla ricerca di qualcosa, senza rendersene conto, o forse solo per necessita. Un essere primitivo, per certi versi, ma che sembrava aver colto a pieno l’essenza della vita, il suo significato più profondo dell’esser priva di scopo.
“Zorba, credo, ma potrei anche sbagliarmi, che gli uomini siano di tre specie: quelli che hanno come meta di vivere, come dicono, la loro vita; di mangiare, bere, amare, diventare ricchi, coprirsi di gloria… Poi ci sono quelli che hanno come scopo non la propria vita, ma la vita di tutti gli uomini; sentono che tutti gli esseri umani sono una cosa sola e si sforzano di illuminare il piú possibile gli uomini, di amarli, di fare loro del bene. E infine ci sono quelli che hanno come obiettivo quello di vivere la vita dell’universo. Tutti, uomini, animali, piante, stelle, siamo una cosa sola, la stessa sostanza che combatte la stessa terribile lotta. Quale lotta? Trasformare la materia in spirito”.
E Zorba, il libro, é la storia dell’incontro tra chi la vita la pensa, e cerca significato nella filosofia e nei libri, e quest’uomo mitologico e volitivo. Uomini che intrecciano le proprie vite, in un’isola greca per un breve tratto della loro vita, creando un amicizia che trae spunto da questo contrasto, dal quale emerge chiaramente che la vita non va solo pensata ma vissuta col corpo intero, con ogni membra, per assaporarne ciò che é.
Zorba si offese; alzò la voce: “Nuova strada”, gridò, “nuovi progetti, ho smesso di ricordare le cose passate, ho smesso di chiedere quelle future; quello che succede ora, in questo momento, è ciò che m’interessa. Dico: ‘Che fai adesso, Zorba?’. ‘Dormo’. ‘Allora dormi bene!’. ‘Che fai adesso, Zorba?’. ‘Lavoro’. ‘Allora lavora bene!’. ‘Che fai adesso, Zorba?’. ‘Abbraccio una donna’. ‘Allora abbracciala bene, Zorba, dimentica tutto il resto, non esiste nient’altro al mondo, solo lei e tu, vai!’”