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Istantanee palermitane – 09/2012

Le spiagge, frequentate esclusivamente da nonne e nipoti, i soliti fancazzisti, i negozi abbandonati in via Roma, soprattutto. Una serata a parlare di Palermo, nella camera dello scirocco di Fondo Micciulla. Il mercato, a me sconosciuto, dell’Albergheria, dove Palermitani, Nigeriani, Rumeni e chissà quanti altri parlano la stessa lingua e ti vendono, su lenzuoli stesi in terra, qualsiasi cosa sia stato possibile rimestare e recuperare tra i rifiuti della città. Un mercato delle pulci, dell’usato, del riciclo, una bidonville palermitana. Un simbolo della città forse più povera che in passato, vitale come sempre.

E poi la pioggia, e le balate bagnate dove scivolare è un attimo.

(il resto su instagram, maoviator)

Per le strade di Ferrara

Ferrara, 05/10/2011

In giro al festival di Internazionale.

 

Che tipo strano/2

Quando qualcuno sul sedile posteriore dell’auto mi parla e non lo sento, io, istintivamente, alzo il volume della radio.

Facendo le valigie

Poche ore ancora e poi si torna a terra. Cerco di non parlare troppo di me, qui, però ho la necessità di tornare ad appuntare qualcosa.

Perché ho la sensazione che quest’esperienza me la porterò sulla pelle per un pò, ho la sensazione che qualcosa sia mutato, che si sia smossa qualche pietra che era ferma ad ostruire qualche passaggio. Ho riscoperto il piacere nel dare il giusto tempo affinché pensieri e sentimenti si sedimentino. Ho riavvolto come un bandolo il gomitolo dei miei pensieri, sempre piuttosto ingarbugliati, ed ho capito che ho bisogno di ordine. Anche se mi fingo abile a muovermi su più piani contemporaneamente, il multitasking non fa più per me. Uscendo, tra le altre cose, dalla dipendenza bulimica dalla lettura che più che una reale esigenza di sapere nasconde la necessità di mettere a tacere altri sensi. E’ una dipendenza che sembra non dare effetti collaterali ma che mi ha distratto dalla capacità di sentire ciò che mi accadeva intorno, l’ho usato nè più nè meno che come un antidolorifico. No, non è buona cosa non sentire niente.  Meglio tornare ad essere lucido, l’oblio lo vorrei tornare a  desiderare soltanto quando sarò tanto vecchio da tornare a chiederlo.

Torno da qui con una serenità incredibile. Sarà stato il mare dovrò fare in modo di passare più tempo su una barca, in futuro. E comunque adesso il problema sarà capire se questo cambiamento sarò in grado di riportarlo a casa.

Le coccinelle portano fastidio

L’altro giorno ho visto una coccinella, qui a due ore di navigazione dalla costa. Mi sono detto, che carina, e poi mi sono chiesto come potesse essere arrivata fino a qui. Avevo visto fino a quel momento uccelli anche piccoli come passeri lottare contro il vento e cercare un appiglio, vederli scivolare sulle travi di ferro bagnate, per poi battere le ali fino a trovarne uno migliore. Ma coccinelle ancora no. Mi sono detto, porterà fortuna.

Pochi minuti dopo dalla radio sento gente chiedersi per quale diamine di motivo ci fossero così tante coccinelle. Ne ho trovate poi sul tavolo, sotto di esso, tra i faldoni e sopra il mio zaino. A sera ho cominciato a tirarle fuori da sotto il colletto, anche due. E poi fin dentro la tuta da lavoro. E mi sono detto che no, non portano fortuna, portano fastidio.

Ma come fanno i marinai?

Ho messo su la sveglia anche stamattina intorno alle sei e trenta e ho guardato fuori per capire quale fosse la situazione oggi. Già ieri sera il capitano aveva spostato Ares, la nostra barca, sotto costa. Il mare si era già ingrossato e per la notte erano previste onde alte fino a sei metri, per cui tanto meglio preservare il nostro stomaco da sommovimenti eccessivi. Da qui, vedo la costa, per cui ancora un’altra giornata di stand-by. Colazione, caffè solubile con latte in polvere, per renderlo più accettabile, e un gran pezzo di torta. Si mangia bene, a bordo. Merito del cuoco malesiano.
Un’altra giornata da riempire di attesa. Siamo almeno quaranta, a bordo, e siamo in sei a comporre questa crew. E’ uno dei tanti vantaggi offerti da questo lavoro che mi sono scelto, o che mi è capitato in dote. Conoscere volti nuovi e storie nuove, lontanissime da quella nicchia che ti sei costruita intorno e che immancabilmente ti assomiglia, per tempi, consuetudini, abitudini, percorsi.
C’è il leader silenzioso, che mi dicevano burbero ed intrattabile, ed invece ad avercene come lui. Ha girato il mondo a fare installazioni come queste, e si vede che seppur stanco, ha lo spirito del viaggiatore.
C’è chi ha litigato con la moglie, s’è separato e non vede i figli già da qualche anno, e per fortuna, dice, che sta sempre in giro. Sta con il suo tablet in mano quando c’è poco da fare e molto per i fatti suoi.
C’è il tipo con gli occhi da guascone perdutamente innamorato di una kazaka. C’è chi vuol tornare a casa perché non ne può più degli egiziani, che hanno la sua parte d’impianto con mille difetti. C’è quello dalle passioni mai sentite prima, dal quale ho appreso dell’esistenza di gare a suon di db (roba che si arriva fino a 170 db), prodotti dai sistemi d’amplificazione di automobili, con tanto di tornei italiani ed internazionali. C’è poi quello perennemente al telefono, e che già a ventisette anni ha qui la responsabilità per conto del committente. E poi ci sono. Che sto bene qui. Finora, per altri nove giorni. Perché io mica li conto i giorni.

Autoritratto per il 25 Gennaio

E la strada racconta che la storia è passata da qui.

Dal giardino della nostra primavera

Tre ruote
E’ stato un fine settimana da vivere su un prato verde. Ed oggi è già Alessandria. D’Egitto.

L’ora legale porta cattivi pensieri

L’ora legale non porta nulla di buono. Lo sapevano i socialisti, l’ho imparato anch’io. Ieri mattina mi sono svegliato tardi, che poi saranno state le undici, che invece erano le dieci il giorno prima, per continuare a fare quel gioco idiota di tutti gli anni, ogni sei mesi, giorno più, giorno meno.
Vado in bagno, apro necessariamente la finestra subito dopo, e vedo passare uno dei miei coinquilini di questi mesi con la borsa in mano. Sta lasciando casa. In fondo era di passaggio, ospite del padrone di casa in uno dei piani della casa, e si vedeva ben poco, visti i turni assurdi che solitamente subiva. Il mal di testa agitava la mia mattina, e così giù di Moment subito dopo uno yogurt magro, con i cereali rubato dal frigo, e mi deposito sul divano. Nella stanza accanto sento ciarlare continuamente, come se si fosse tornati ai tempi dell’università, con quelle sessioni di studio infinite con i colleghi di corso. E’ mio fratello, alle prese con un master che speriamo porti bene, ed un suo collega. Ciarlano, ciarlano, ciarlano, e non è una gran manna per la mia emicrania. E’ già l’ora di pranzo ed improvvisiamo un ragù secco che non si dice, e tra un boccone e l’altro vedo entrare in casa con una cassetta degli attrezzi il padrone di casa. E’ riuscito a vendere casa, dice, ed adesso che il piano superiore è libero comincerà a smantellare i mobili che non è riuscito a piazzare agli acquirenti. E’ una notizia. Prima dell’estate arriverà l’ora di lasciare questa reggia che mi è stata concesso di vivere. Sale su e smonta, lanciando frecciatine che lascio cadere ai miei lati sul presunto stato del parquet che dovrà rifare, prima di vender casa. Forse a causa di qualche risibile crepa che avrò lasciato durante la mia permanenza al piano di sopra. Ma è un buon uomo, è credo capirà che quello è anche il piacere dei parquet, sentire la traccia del tuo passaggio. E’ inevitabile, direi.
Ho lasciato parecchie cianfrusaglie nei cassetti li su, negli ultimi mesi diventata una specie di soffitta di inutilità. Tutto sulle braccia, scendo le scale e spargo sul pavimento. Prendo un cartone dalla cantina. Comincio a metter ordine, tanto son cose che non userò più e che porterò nella mia nuova dimora, quando la troverò. Ci sono fotografie, stampe portate dietro da qualche viaggio, depliant di corsi a cui avrei voluto partecipare, un presepe in un guscio di un frutto che non riconosco e parecchi oggetti che avevo dimenticato di avere. Regali che riaffiorano, alcuni dei quali rotti. Penso a quando una mia ex mi disse che quando qualcosa che ti è stata regalata si rompe, quella persona ha smesso di averti tra i suoi pensieri. Nei miei, invece, ritornano nel momento in cui li tocco. Provo a rimettere insieme i pezzi, come faccio di solito, armandomi di attack, ma è fatile  inutile. Non stanno insieme, la colla non fa presa.
Dovrò imparare qualcosa da tutto questo. Non mi resta che gettarli nel cestino.
Il pomeriggio vola mentre alla tv guardo di fila le ultime sei puntate di Boris. Metto ordine, ed è già ora di cena, non ho una gran fame ma comincio a cucinare di tutto, dai carciofi, alla cicoria, dai fagiolini alle polpette. Il mal di testa è andato ma il mio umore è cambiato, di ora in ora. Sono nervoso e devo andare a letto che domattina si va a Frosinone. Un Frecciarossa alle otto dalla stazione Centrale, un’altra settimana che ricomincia.