L’ora legale non porta nulla di buono. Lo sapevano i socialisti, l’ho imparato anch’io. Ieri mattina mi sono svegliato tardi, che poi saranno state le undici, che invece erano le dieci il giorno prima, per continuare a fare quel gioco idiota di tutti gli anni, ogni sei mesi, giorno più, giorno meno.
Vado in bagno, apro necessariamente la finestra subito dopo, e vedo passare uno dei miei coinquilini di questi mesi con la borsa in mano. Sta lasciando casa. In fondo era di passaggio, ospite del padrone di casa in uno dei piani della casa, e si vedeva ben poco, visti i turni assurdi che solitamente subiva. Il mal di testa agitava la mia mattina, e così giù di Moment subito dopo uno yogurt magro, con i cereali rubato dal frigo, e mi deposito sul divano. Nella stanza accanto sento ciarlare continuamente, come se si fosse tornati ai tempi dell’università, con quelle sessioni di studio infinite con i colleghi di corso. E’ mio fratello, alle prese con un master che speriamo porti bene, ed un suo collega. Ciarlano, ciarlano, ciarlano, e non è una gran manna per la mia emicrania. E’ già l’ora di pranzo ed improvvisiamo un ragù secco che non si dice, e tra un boccone e l’altro vedo entrare in casa con una cassetta degli attrezzi il padrone di casa. E’ riuscito a vendere casa, dice, ed adesso che il piano superiore è libero comincerà a smantellare i mobili che non è riuscito a piazzare agli acquirenti. E’ una notizia. Prima dell’estate arriverà l’ora di lasciare questa reggia che mi è stata concesso di vivere. Sale su e smonta, lanciando frecciatine che lascio cadere ai miei lati sul presunto stato del parquet che dovrà rifare, prima di vender casa. Forse a causa di qualche risibile crepa che avrò lasciato durante la mia permanenza al piano di sopra. Ma è un buon uomo, è credo capirà che quello è anche il piacere dei parquet, sentire la traccia del tuo passaggio. E’ inevitabile, direi.
Ho lasciato parecchie cianfrusaglie nei cassetti li su, negli ultimi mesi diventata una specie di soffitta di inutilità. Tutto sulle braccia, scendo le scale e spargo sul pavimento. Prendo un cartone dalla cantina. Comincio a metter ordine, tanto son cose che non userò più e che porterò nella mia nuova dimora, quando la troverò. Ci sono fotografie, stampe portate dietro da qualche viaggio, depliant di corsi a cui avrei voluto partecipare, un presepe in un guscio di un frutto che non riconosco e parecchi oggetti che avevo dimenticato di avere. Regali che riaffiorano, alcuni dei quali rotti. Penso a quando una mia ex mi disse che quando qualcosa che ti è stata regalata si rompe, quella persona ha smesso di averti tra i suoi pensieri. Nei miei, invece, ritornano nel momento in cui li tocco. Provo a rimettere insieme i pezzi, come faccio di solito, armandomi di attack, ma è fatile inutile. Non stanno insieme, la colla non fa presa.
Dovrò imparare qualcosa da tutto questo. Non mi resta che gettarli nel cestino.
Il pomeriggio vola mentre alla tv guardo di fila le ultime sei puntate di Boris. Metto ordine, ed è già ora di cena, non ho una gran fame ma comincio a cucinare di tutto, dai carciofi, alla cicoria, dai fagiolini alle polpette. Il mal di testa è andato ma il mio umore è cambiato, di ora in ora. Sono nervoso e devo andare a letto che domattina si va a Frosinone. Un Frecciarossa alle otto dalla stazione Centrale, un’altra settimana che ricomincia.