Non è un’esperienza rara trovarsi a sorvolare il delta del Niger. Ogni giorno partono dalle basi di ogni compagnia petrolifere almeno due elicotteri, dirette verso le petroliere disseminate in questa frazione di oceano.
E’ la quarta volta per me che sorvolo questa zona, e nonostante l’effetto novità dovrebbe essere già svanito mi trovo a guardare fisso verso il basso con lo stesso stupore della prima volta.
Il delta, è incredibile. Un delta, una differenza sostanziale con tutto il mare che ho visto intorno a me in questi quindici giorni.
Guardandolo viene da chiedersi come sia possibile uscire da quel groviglio, da quella tale concentrazione di piante che non lascia spazio che a qualche piccola radura qua e là.
E’ la quarta volta per me che sorvolo questa zona, e nonostante l’effetto novità dovrebbe essere già svanito mi trovo a guardare fisso verso il basso con lo stesso stupore della prima volta.
Il delta, è incredibile. Un delta, una differenza sostanziale con tutto il mare che ho visto intorno a me in questi quindici giorni.
Guardandolo viene da chiedersi come sia possibile uscire da quel groviglio, da quella tale concentrazione di piante che non lascia spazio che a qualche piccola radura qua e là.
Quando il Mend decide di rapire qualcuno, lo porta in questi spazi, e non ha bisogno di tenere i prigionieri in catene di alcun tipo. Li lascia liberi, almeno dai racconti di chi ha conosciuto gli ultimi due Italiani dell’Agip rapiti qualche anno fa. Li lascia in uno spazio sotto la loro sorveglianza, ma sostanzialmente liberi perchè non ci sarebbe dove fuggire.
Sarebbe semplicissimo perdersi.
Raggiungendolo dal golfo di Guinea, si apre maestoso. Quando poi entri nel suo territorio, rimani accecato dal quel colore verde presente in ogni possibile sfaccettatura. Certe zone improvvisamente diventano più rigogliose, te ne accorgi dalla dimensione degli alberi che progressivamente aumenta per poi scorgere tra i suoi rami un rigagnolo del delta. E’ come se centinaia di serpenti d’acqua spezzazzero il terreno con le loro anse. Più o meno grandi, ma tutti comunque navigabili. Non ho la percezione della loro grandezza da quassù ma vedo piccole barche di pescatori dovunque.
Poco prima di entrare al suo interno una decina di loro erano disposte in ordine perfetto, senza che potessi comprenderne il motivo. Qui, invece, si muovono in solitario. Riconosco una o due sagome al loro interno.
Poco prima di entrare al suo interno una decina di loro erano disposte in ordine perfetto, senza che potessi comprenderne il motivo. Qui, invece, si muovono in solitario. Riconosco una o due sagome al loro interno.
Piccole imbarcazioni dalla forma allungata, tutte invariabilmente in legno.
Sulla riva del fiume principale sono appoggiati piccoli villaggi di pescatori, le cui case si allontanano dall’immagine luccicante offerta dalla città, con i suoi tetti di lamiera.
Non esistono strade, il letto fangoso del fiume raggiunge quasi le porte delle case, accanto alle quali stanno alcune delle barche che ho incontrato finora.
I mille rigagnoli si spezzano di continuo, formano dei piccoli laghi dove trovano posto delle strutture simili a palafitte, avamposti credo delle compagnie straniere nella zona, che si fanno spazio in un terreno dove avrebbero trovato posto volentieri altre mangrovie.
Ma è tutta la zona a risentire dell’azione dell’uomo. I terreni sconfinati offerti da queste zone sono continuamente spezzati, rigidamente spezzati da linee che corrono da un punto indefinito. Si spezzano. Vanno in direzione ortogonale. Poi riprendono a muoversi verso est. Potrebbero essere linee di un immaginario campo da gioco. Sono piuttosto le linee scavate fin dalle prime scoperte di giacimenti per portare l’oil fino a terra, sono giganteschi oleodotti, che, mi dicono, versano oramai in condizioni pietose tra corrosioni ed inevitabili sabotaggi e furti che alimentano un mercato nero fiorente. Tali da rendere questa zona, a dispetto di ciò che la natura offre ai miei occhi, una delle più inquinate al mondo. Con un tasso di mortalità tra i più alti.
Basti pensare che tra il 1976 e il 1996 si sono riversati nella zona 2,4 milioni di barili, e soltanto la Shell ha ammesso di aver perso nel 2009 14 mila tonnellate di petrolio dopo due incidenti (1).
Dati sottostimati, visto che la gran parte degli incidenti sono sconosciuti ai più e le perdite sono continue.
Almeno a giudicare dalla strana macchia che poco fa colorava le acque all’ingresso del delta.
Non esistono strade, il letto fangoso del fiume raggiunge quasi le porte delle case, accanto alle quali stanno alcune delle barche che ho incontrato finora.
I mille rigagnoli si spezzano di continuo, formano dei piccoli laghi dove trovano posto delle strutture simili a palafitte, avamposti credo delle compagnie straniere nella zona, che si fanno spazio in un terreno dove avrebbero trovato posto volentieri altre mangrovie.
Ma è tutta la zona a risentire dell’azione dell’uomo. I terreni sconfinati offerti da queste zone sono continuamente spezzati, rigidamente spezzati da linee che corrono da un punto indefinito. Si spezzano. Vanno in direzione ortogonale. Poi riprendono a muoversi verso est. Potrebbero essere linee di un immaginario campo da gioco. Sono piuttosto le linee scavate fin dalle prime scoperte di giacimenti per portare l’oil fino a terra, sono giganteschi oleodotti, che, mi dicono, versano oramai in condizioni pietose tra corrosioni ed inevitabili sabotaggi e furti che alimentano un mercato nero fiorente. Tali da rendere questa zona, a dispetto di ciò che la natura offre ai miei occhi, una delle più inquinate al mondo. Con un tasso di mortalità tra i più alti.
Basti pensare che tra il 1976 e il 1996 si sono riversati nella zona 2,4 milioni di barili, e soltanto la Shell ha ammesso di aver perso nel 2009 14 mila tonnellate di petrolio dopo due incidenti (1).
Dati sottostimati, visto che la gran parte degli incidenti sono sconosciuti ai più e le perdite sono continue.
Almeno a giudicare dalla strana macchia che poco fa colorava le acque all’ingresso del delta.
(1) da: Il silenzio sulla Nigeria, John Vidal, The Obverser. Internazionale n.852.