Era da un’intera giornata che andava guidando, fin da Reggio Calabria, dalla quale era partita già cinque ore prima.
Soltanto un tiepido sole d’inizio primavera le faceva compagnia, e la voce di quello stupido speaker alla radio che andava farfugliando parole nell’etere, giusto per essere perse, subito dopo.
Le labbra bruciavano chiedendo acqua, le implorarono di fermarsi al prossimo autogrill.
Scese, svogliatamente, raccogliendo la borsa dalla quale stavano fuoriscendo buona parte dei suoi effetti personali. Si diresse al bar e poi, al bagno. Dinnanzi alla porta si fermò e decise, senza sapere poi bene perchè, di entrare in quello degli uomini. Aprì la porta mentre la donna delle pulizie, distratta, dava una pulita a quegli specchi sempre troppo sporchi. Cercò in quella borsa la penna con cui fino a poco tempo fa disegnava i suoi progetti, e sul muro scrisse: “Senza te, non posso più stare. Chiamami, ti prego“.
Dopo pochi minuti, era nuovamente in macchina. Era già troppo tardi.
Soltanto un tiepido sole d’inizio primavera le faceva compagnia, e la voce di quello stupido speaker alla radio che andava farfugliando parole nell’etere, giusto per essere perse, subito dopo.
Le labbra bruciavano chiedendo acqua, le implorarono di fermarsi al prossimo autogrill.
Scese, svogliatamente, raccogliendo la borsa dalla quale stavano fuoriscendo buona parte dei suoi effetti personali. Si diresse al bar e poi, al bagno. Dinnanzi alla porta si fermò e decise, senza sapere poi bene perchè, di entrare in quello degli uomini. Aprì la porta mentre la donna delle pulizie, distratta, dava una pulita a quegli specchi sempre troppo sporchi. Cercò in quella borsa la penna con cui fino a poco tempo fa disegnava i suoi progetti, e sul muro scrisse: “Senza te, non posso più stare. Chiamami, ti prego“.
Dopo pochi minuti, era nuovamente in macchina. Era già troppo tardi.
Bello.
Ciao,
Emanuele