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Iran/USA. E’ solo un gioco

Shiraz – Arg of Karim Khan

New York  – Central Park

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/Claustrofobico

Dopo una decina di giorni la sensazione di diffusa normalità lascia spazio ad una specie di pesantezza di fondo che accompagna le giornate. Si continua ad uscire ogni sera, per la cena nei ristoranti della città, si passeggia per le strade come sempre, ogni sera, ma la percezione è quella che si stratifica racconto dopo racconto dalle loro bocche e che ti fa venire solo voglia di respirare.
Il traffico è sempre così caotico, ed adesso so il motivo. I ragazzi girano tanto in macchina, per mancanza di alternative, ma anche perché è molto più semplice stare a contatto con la macchina di fianco e parlare con qualche ragazza conosciuta in un locale, che fermarsi a discutere sul viale principale. E’ una questione di mimetizzazione, per sfuggire al controllo della polizia religiosa.
In albergo provo a chiedere un decoder, giusto per guardare qualche canale internazionale. Ma mi dicono che le stanze che possono avere il decoder sono limitate, e sono tutte occupate. Sono quelle con il terrazzo, nel quale è più semplice nascondere la parabola. Occorrerebbe passare un cavo da li fino alla mia stanza, ma non ne vale la pena, dico io.
Una notte mi sono svegliato di soprassalto, come dopo un’incubo. Avevo sentito varie storie durante il giorno. Amin mi aveva raccontato della volta in cui fu arrestato per cinque giorni solo per aver fatto qualche foto durante una manifestazione. Poi, su twitter, aveva preso a seguirmi un giornale locale, e li si sa che tutti i giornali sono filogovernativi. Mi era presa una tale ansia che di notte ho acceso il pc e ho nascosto tutti i miei inutili post, pubblicati fin li.
Nel parlare con loro cercavo di capire quali fossero le loro sensazioni al sentire le voci dell’intensificarsi della situazione, ma mi rispondevano tranquilli, come se fossero talmente abituati a questa sensazione da non farci neanche più caso. Non era così, ovviamente, visto che l’idea di andare via da quel paese per qualcuno era già stata valutata e considerata come prossima.
Alla mia partenza, lunedì li prendevo in giro pensando alla birra che avrei bevuto la sera successiva, e vagheggiavamo sul modo per poterla infilare in valigia aggirando ogni controllo.
Dopo un po’ c’è ne è abbastanza da far venire voglia di anarchia, anche di quella, tutto sommato normale, di casa nostra.

p.s. Adesso sono davvero tornato a casa. Ed il titolo che ho dato a questi post, non era un del tutto casuale riferimento ad un libro visto spesso in biblioteca e mai letto. Era anche legato al fatto che l’ho davvero letto “Colazione da Tiffany”, uno di quei libri che trascuri sempre per quei preconcetti che ti porti dietro, fin quando incontri qualcuno che qualche mondo nuovo te lo fa scoprire. E poi, per non farmi mancare nulla, ho anche visto per la prima volta il film.
Ecco, quello me lo potevo evitare.

Il resto delle foto sono qui.

Roofoo Gary, i riparatori di tappeti


Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/Le elezioni farsi(a)

Le cose che ho imparato nel giorno delle elezioni al parlamento sulla (presunta) Repubblica Islamica Iraniana sono:

– che il Porcellum qui è applicato dal giorno della rivoluzione. Nessuno può essere candidato senza passare al vaglio di un “Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione”, altro che segreterie dei partiti;
– che qui esistono tanti partiti, ma sono tutti blu. Esiste un blu chiaro, un blu scuro, e mille altre varianti. Ma sempre di blu si tratta. Il rosso, il bianco, non esistono. Ed in questo non vedo nessuna attinenza con sinistra, destra, sinistra che viene accusata di essere destra e così via.
– Che qui non si imbrattano le città con affissioni abusive. Non ce ne è bisogno. Fino a qualche giorno fa non te ne rendevi neanche conto di essere a pochi giorni dalle elezioni. Poi, una sera, il traffico bloccato e dei ragazzi che sventolavano le bandiere per strada in corrispondenza di un comitato elettorale. Poi le immagini si sono moltiplicate, ed il candidato era spesso mostrato a braccetto con Khamenei, come se non fosse già abbastanza chiaro l’appoggio.
– Khamenei è ovunque, sui cartelloni, sui muri, più che ogni altro candidato.

– A votare va poca gente. Della gente che conosco tutti hanno boicottato le elezioni, ritenendole ovviamente inutili.
– Non si vota con la classica matita. Me lo sono fatto spiegare vedendo spesso questo cartellone oggi:

Con qualche specie di inchiostro imbrattano un dito con cui poi imbrattano la scheda elettorale. Non credo crei maggiori possibilità di brogli rispetto alle nostre matite, ma mi è sembrato quanto meno curioso, quasi fosse una sorta di schedatura all’uscita dal seggio.

– Sono riuscito ad entrare in una moschea, la più importante della città, proprio oggi. Mi hanno tenuto in consegna la macchina fotografica, naturalmente. Un luogo che mi ha lasciato senza fiato. Tappeti distesi nell’aria centrale con bambini che ci rotolavano su, donne che discutevano, qualcuno che pregava. E poi la moschea, su due ali di questa immensa piazza, all’interno un labirinto di specchi sulle pareti e sul soffitto. Una parete che separava la zona maschile da quella femminile, con le voci che si scontravano creando un effetto oscuro. Quando siamo usciti, con gli occhi rivolti verso l’interno e quindi i passi ripercorsi all’indietro, ho chiesto per cosa fosse la lunga fila che vedevo su un lato, con le telecamere fisse puntate su di essa. Gente che va a votare, mi hanno spiegato. Perché qui si vota anche all’interno della moschee sotto gli occhi degli imam, che talvolta passeggiano tra la folla. Potere temporale, potere spirituale, sono la stessa cosa, ovviamente.

Qualche foto, come questa, l’ho rubata comunque all’interno, con l’iPhone. Ma questa è un’altra storia.

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/Jafar

A pochi metri dall’ingresso dell’università un piccolo chiosco resta aperto a tutte le ore del giorno, e della notte. Riviste, bibite e sigarette sono sempre disponibili, ma non è questa di certo la particolarità che lo rende tappa obbligata delle serate qui in città. Di ritorno da un ristorante, è la sorpresa che hanno preparato questa sera per me. Dietro il bancone un uomo sulla settantina, preso dai suoi affari, ci accoglie sornione, specie riconoscendo volti nuovi nel suo rifugio. Sorride con tutti i denti che gli sono rimasti e si affanna a dare la mano a tutti noi, trattenendole tra le sue per un tempo a cui inizialmente non riesco a dare spiegazione. La colgo quando prende la mia, di mano, e comincia ad accarezzarla con alcune dita e poi con l’altra mano, tra gli sguardi divertiti degli altri. Regala poi perle a ripetizione, proponendo ogni sorta di prezzo per stare con lui, uscendo fuori da quello che spesso diventa la sua stessa casa, cercando di abbracciarci. Ogni volta è uno spettacolo diverso ma sempre assicurato. Jafar è uno spettacolo, qui, con la sua omosessualità ostentata, e con l’esuberanza che non riesce a contenere nonostante l’età.
Si raccontano storie, su di lui, di cui alcuni sanciscono con assoluta certezza. Raccontano che sia stata una spia, e che la posizione del suo chiosco non sia del tutto casuale, a pochi metri dall’università. Raccontano che conoscesse tutti, da sempre, e ne conoscesse le abitudini. Chi frequentasse chi, e naturalmente anche le tendenze sessuali. Raccontano che molti furono uccisi in seguito alle sue soffiate, qualche anno fa.
Raccontano, anche se sembra surreale, dopo aver riso così tanto, storie come questa. Sembra tutto così normale, in superficie.

Vakeel Bazaar

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/2

Quello che mi aspetto da un qualsiasi fine settimana occidentale lo ritrovo anche qui, giovedì sera. Le strade diventano trafficate in corrispondenza del centro, mentre il nostro tassista cerca di districarsi con inversioni ad u su strade a quattro corsie o sfiorando le macchine più vicine per tentare un sorpasso, mentre ragazzi in rollerblade si infilano tra una e l’altra, sfidando la sorte ed il carcere (così mi dicono), tra uno slalom e l’altro. Le distanze così ravvicinate consentono poi sguardi più ravvicinati tra un abitacolo e l’altro ed è divertente incrociare quelle di donne che sorridono o che, riconoscendoti come occidentale, cominciano ad atteggiarsi e a ballare per attirare l’attenzione in qualche modo, non mancando minimamente il bersaglio.
E’ evidente il desiderio di libertà che si respira parlando o più semplicemente osservando gli atteggiamenti con cui si sono mostrati a noi, ma con il quale, più semplicemente, vivono ogni giorno. Tutto appare normale, nella vita di ogni giorno, da far dimenticare quello che i quattro caproni che li governano decidono ogni giorno da Teheran sulle loro teste.
L’unico segno evidente di anomalia che si riscontra facilmente si ha navigando sulla Rete. Molti siti sono bloccati. Twitter, Facebook, ma anche semplici siti di notizie, Repubblica, Corriere o La Stampa rimandano ad un’incomprensibile pagina in farsi. Ma anche per quello esiste il rimedio e sono tutti attrezzati con semplici programmi che creano tunnel (non facciamo i nerd, su) per passare tra le maglie della censura. Devi sviluppare una sensibilità superiore per cogliere i dettagli capaci di farti drizzare le orecchie. Chi è qua da più tempo nota dettagli a me difficilmente comprensibili, dopo solo tre giorni. Le macchine della polizia più frequenti. Su una collina che incrociamo recandoci sull’impianto, il numero maggiore di cannoni che sbucano dal terreno, in una zona militare non così lontana da un piccolo abitato. O, come Saadi (un nome fittizio), il nostro contatto qui, ci raccontava oggi, difficoltà ben più tangibili. Come l’impossibilità nel reperire dall’estero, viste le scarse riserve interne, il materiale necessario per produrre prodotti per la dialisi. Un problema di cui si stava occupando in prima persona, avendo una società di import/export e di referenze per le società straniere, dopo una telefonata del padre, disperato per non aver trovato lui una via per importare queste attraverso le vie tradizionali.

Sono problemi che non riscontri facilmente camminando tranquillamente per le strade, frequentando i loro ristoranti, sedendosi tra coppie che sorseggiano the. Quello che vedi è solo una ricercata normalità, una naturale libertà negli atteggiamenti, che ti va venire voglia di esserci, quel giorno.

Da “Pollo alle prugne” di Marjane Satrapi

Leggere Colazione da Tiffany a Shiraz/1

Arrivo a Shiraz alle due e trenta di questo martedì. Mezzanotte in Italia, e sono in uno di quei luoghi in cui mai ti aspetteresti di finire, di quelli da apparirmi già così esotici dalle mezzore nel fuso orario. Sono riuscito stranamente a dormire in volo, distendendomi sulle tre poltrone libere dietro al mio posto ufficiale, tanto che una delle hostess ha dovuto scuotermi all’annuncio delle procedure di atterraggio. Stropicciando gli occhi, li ho rivolti verso i sedili più attigui. L’aereo è quasi vuoto e riempito per di più da gruppi di donne, civettuole e bellissime, di ogni età. Hanno già cominciato a prendere dalle loro elegantissime borse, qualcuna di coccodrillo, qualche altra griffata, i foulard che qualcuna ha già sistemato sulla testa. Assisto ad un rito, ad una pantomima collettiva, ad una deposizione di armi, mentre tornano a casa e si mutilano, segnando una resa per un tempo indefinito, nel quale saranno costrette a nascondere parte della loro naturale, innaturale, bellezza.

E’ grande quest’aeroporto. Com’è naturale per una città di quasi quattro milioni di abitanti, ed è moderno, contemporaneo. Nessun problema con il passaporto, nessuna domanda ulteriore dopo Istanbul, dove hanno voluto accertarsi che non sia mai stato in Israele. Accendo il telefono, cerco per abitudine una wi-fi libera, e incredibilmente la ritrovo, senza credere ai miei occhi. Come al Cairo, come non succede mai in Italia. Ricevo qualche iMessage rimasto appeso da qualche ora, ci sono mondo, sono atterrato. Provo a guardare i nuovi cinguettii e le nuove notifiche su fb, ma non vanno, nessun aggiornamento, sembrano bloccati questi siti, come mi aspettavo.

Raggiungo la hall recuperando il bagaglio sul nastro spento e non faccio in tempo a districarmi tra i tassisti locali che vengo raggiunto dal mio contatto. Ci riconosciamo, e mi chiedo se anche lui sia italiano, guardando l’insieme della sua statura, dei suoi occhi azzurri, e del berretto molto occidentale che nasconde una chierica giovanile. Fuori dall’aeroporto gran silenzio, sono intanto già le tre passate e , il nostro autista dorme sul volante della sua Paykan. Guardandomi intorno mi rendo conto da quanto l’insieme sia lontano da ciò che immaginavo. Strade in ordine, aiuole curate, e ai bordi della strada nessuna baraccopoli, ma solo case eleganti e in ordine. Toccherà fare ordine anche tra i miei stereotipi in questi giorni, già penso.

Nulla sembra dare l’idea delle tensioni internazionali raccontate in questi giorni, mentre comincio a fare conoscenza con Amin e il taxi si muove, senza incrociare una macchina, verso questo nuovo albergo.

p.s. Il titolo è chiaro, no?