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Lisbon Story, Wim Wenders

Tutti quei passi

Roma, 28/09/2011

Fuori dalle stazioni c’è un’intera città, i taxi che si svuotano, gli amori che si salutano, i venditori ambulanti che si riposano sulle panchine, le zingare con i loro bambini infasciati tra le braccia. Tutto si racchiude in quell’isolato che eleva a potenza gli incroci possibili.
Ed io resto a guardare, in attesa del prossimo treno, tra quei passaggi, gli incroci perduti, quelli mai arrivati.

Per le strade di Ferrara

Ferrara, 05/10/2011

In giro al festival di Internazionale.

 

Greetings from Dubai 4/Fatto. O forse no.

Ci sono stato, sul grattacielo più alto che c’è. Soltanto che poi mi sono guardato intorno e non c’era nessuno.

Si certo, ho guardato anche in basso, ma c’era una gran foschia, da non vedere, a terra, oltre i cento metri, per cui neanche li giù si riusciva a distinguere un granché, se non le linee disegnate dalle automobili sulle loro strade a sei corsie. E poco più.

Che non fosse un’esperienza esaltante mi era stato anticipato, però, quanto meno, vedere la città per intero mi aspettavo mi fosse concesso. E pensare che se lo fanno pagare anche caro (100 dirham, circa 20 euro, solo perché ho prenotato da internet, che sennò ne volevano 400, sti folli) un giro in ascensore di appena un minuto fino al centoventiquattresimo piano.

Greetings from Dubai/1

Ho solo capito, in una settimana, che devono essersi annoiati parecchio per millenni, questi emiri. Per cui non gli deve essere sembrato vero un giorno mettersi a giocare a SimCity, e farci uscire fuori di testa, a noi che ci troviamo a passare da qui.

Hanno aperto un grande canale d’importazione di indiani, tant’è che nove su dieci sono dei loro, e li hanno messi a tirar su mattone su mattone giocattoloni immensi con cui trastullarsi e trovare ristoro dai quaranta gradi, ininterrotti, e dall’afa che mi sta facendo perdere tante di quei sali minerali da disidratarmi completamente.

E finalmente hanno trovato che fare, il giovedì sera. Sennò sai che noia.

(poi, magari, ve la racconto meglio, com’è che funziona questo posto che sembra Marte in un libro di Philip K.Dick)

Inserti in blu

Facendo le valigie

Poche ore ancora e poi si torna a terra. Cerco di non parlare troppo di me, qui, però ho la necessità di tornare ad appuntare qualcosa.

Perché ho la sensazione che quest’esperienza me la porterò sulla pelle per un pò, ho la sensazione che qualcosa sia mutato, che si sia smossa qualche pietra che era ferma ad ostruire qualche passaggio. Ho riscoperto il piacere nel dare il giusto tempo affinché pensieri e sentimenti si sedimentino. Ho riavvolto come un bandolo il gomitolo dei miei pensieri, sempre piuttosto ingarbugliati, ed ho capito che ho bisogno di ordine. Anche se mi fingo abile a muovermi su più piani contemporaneamente, il multitasking non fa più per me. Uscendo, tra le altre cose, dalla dipendenza bulimica dalla lettura che più che una reale esigenza di sapere nasconde la necessità di mettere a tacere altri sensi. E’ una dipendenza che sembra non dare effetti collaterali ma che mi ha distratto dalla capacità di sentire ciò che mi accadeva intorno, l’ho usato nè più nè meno che come un antidolorifico. No, non è buona cosa non sentire niente.  Meglio tornare ad essere lucido, l’oblio lo vorrei tornare a  desiderare soltanto quando sarò tanto vecchio da tornare a chiederlo.

Torno da qui con una serenità incredibile. Sarà stato il mare dovrò fare in modo di passare più tempo su una barca, in futuro. E comunque adesso il problema sarà capire se questo cambiamento sarò in grado di riportarlo a casa.

Per le strade di Alessandria

Ma come fanno i marinai?

Ho messo su la sveglia anche stamattina intorno alle sei e trenta e ho guardato fuori per capire quale fosse la situazione oggi. Già ieri sera il capitano aveva spostato Ares, la nostra barca, sotto costa. Il mare si era già ingrossato e per la notte erano previste onde alte fino a sei metri, per cui tanto meglio preservare il nostro stomaco da sommovimenti eccessivi. Da qui, vedo la costa, per cui ancora un’altra giornata di stand-by. Colazione, caffè solubile con latte in polvere, per renderlo più accettabile, e un gran pezzo di torta. Si mangia bene, a bordo. Merito del cuoco malesiano.
Un’altra giornata da riempire di attesa. Siamo almeno quaranta, a bordo, e siamo in sei a comporre questa crew. E’ uno dei tanti vantaggi offerti da questo lavoro che mi sono scelto, o che mi è capitato in dote. Conoscere volti nuovi e storie nuove, lontanissime da quella nicchia che ti sei costruita intorno e che immancabilmente ti assomiglia, per tempi, consuetudini, abitudini, percorsi.
C’è il leader silenzioso, che mi dicevano burbero ed intrattabile, ed invece ad avercene come lui. Ha girato il mondo a fare installazioni come queste, e si vede che seppur stanco, ha lo spirito del viaggiatore.
C’è chi ha litigato con la moglie, s’è separato e non vede i figli già da qualche anno, e per fortuna, dice, che sta sempre in giro. Sta con il suo tablet in mano quando c’è poco da fare e molto per i fatti suoi.
C’è il tipo con gli occhi da guascone perdutamente innamorato di una kazaka. C’è chi vuol tornare a casa perché non ne può più degli egiziani, che hanno la sua parte d’impianto con mille difetti. C’è quello dalle passioni mai sentite prima, dal quale ho appreso dell’esistenza di gare a suon di db (roba che si arriva fino a 170 db), prodotti dai sistemi d’amplificazione di automobili, con tanto di tornei italiani ed internazionali. C’è poi quello perennemente al telefono, e che già a ventisette anni ha qui la responsabilità per conto del committente. E poi ci sono. Che sto bene qui. Finora, per altri nove giorni. Perché io mica li conto i giorni.

A palla, sul ponte

Sono a bordo già da qualche giorno, e comincio a comprendere quel vecchio detto secondo il quale sarà l’età a darmi la pazienza che non ho, nella mia natura. Perché si lavora davvero a rilento, il mare è continuamente in tempesta e quando non lo è sono i capitani delle due navi d’appoggio a far danni, rompendo il ponte che ci permette di attraccare sulla piattaforma sulla quale sto lavorando. E così le giornate passano lentamente, quando non si può lavorare, sul ponte che dondola continuamente, tanto che adesso, guardando fuori dall’oblo per un istante vedo il mare ed un istante dopo guardo il cielo. Ci si siede sulla sdraio al mattino ed al pomeriggio si gioca a carte, assaporando il mare e la vita del marinaio.

E poi la sera, si gioca con una palla raffazzonata, con gli egiziani, sul ponte.

Autoritratto per il 25 Gennaio

E la strada racconta che la storia è passata da qui.