Ma va là, Kippenberger

Ogni anno c’è il mio compleanno, ogni anno arriva il momento delle ferie, ogni anno arriva il momento della polemica sul Crocifisso.
Non ho ancora capito quando l’anno scorso ne avevamo smesso di parlare, che già me la ritrovo qui, continuandola a considerare una delle polemiche più inutili che si possano presentare, di quelle che non cambiano di una virgola nulla, perchè nulla cambia con un crocifisso ad un aula, appesa appena dietro ad un prof a cui sparare di nascosto con la cerbottana.
E questo i primi a capirlo dovrebbero essere cardinali ed eminenze varie, dalle loro stanze chiuse sulla realtà.
Mentre mi trovo a capire ciò che essa simbolicamente possa rappresentare, trovo difficoltà nel comprendere come un uomo, Gesù, messo li in Croce, possa rappresentare un’offesa alla sensibilità di qualcuno. Da qualunque parte lo guardi trovo sempre un simbolo universale, sul quale interrogarsi.
Se fosse vero il contrario, dovremmo forse abbassare lo sguardo ad ogni angolo delle nostre strade per non essere offesi nel vedere in cima ai campanili quei due pezzi di ferro incrociati in quel modo, per non cadere nella tentazione di essere soggiogati dalla “terribile” pena della fede.
Non credo.
Non credo neanche che un crocifisso in un’aula possa rappresentare un pericolo per la laicità di questo stato e delle nostre generazioni. Viviamo, abbiamo vissuto, intrisi dal cattolicesimo fin dalla nascita, abbiamo fatto comunioni, cresime, eppure molti di noi, forse anche per reazione, sono diventati atei, agnostici, senza subir i condizionamenti di cui parliamo temendo che chi è oggi si trovi sui banchi di scuola non abbia la capacità di discernimento che a noi è stata donata.
Non mi scandalizzo nemmeno nel sentir parlare di tradizione, venendo da una terra in cui molto spesso ciò che viene presentato come atto di fede è piuttosto folklore. Non mi scandalizzo nel sentir dichiarare il cristianesimo come elemento fondante della nostra cultura, di pari passo all’illuminismo, parti imprescindibili dei valori di cui ci crediamo parte.
Per questo la laicità portata ai limiti del fanatismo mi da la stessa idea dell’analogo bigottismo cosi tanto inviso, mi pare un guardare a noi, al nostro essere qui, adesso, in maniera alquanto distratta.
Poi si può parlar di tutto, ma converrebbe perdere il nostro tempo in battaglie più di ampio respiro. Pensiamo alle ore di religione, cosi inutilmente discriminatorie, cosi inutilmente inserite nelle ore scolastiche soltanto per favorire le gerarchie cattoliche, che nominano esse stesse chi a loro aggrada (e su questo potrei anche raccontare una storiella, con il rischio di una bella querela, se qualcuno mai leggesse). Pensiamo ad inserire ore più consone a questi tempi cosi complicati, che aiutino a comprendere le diversità che abitano le nostre classi.
Ma non continuiamo a perderci in ulteriori chiacchere inutili, per carità.
L’entropia è già quella che è.

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