Finalmente Wired!

Finalmente è arrivato il primo numero dell’abbonamento a Wired. Ho approfittato della mega offerta di lancio ma con un pò di ritardo e adesso stavo perdendo la pazienza, e sono stato più volte tentato di andarlo a comprare direttamente in edicola. Ma ne è valsa la pena.
Sembra davvero ben fatta. Mi sta incuriosendo.

Due pesi, due misure

Dopo la puntata di Report sono andato a leggermi un pò di storie su Ciancio. E davvero non rimango stupito dal modo di agire del Tg1 e di Repubblica.
Cosi come delle azioni su Pino Maniaci.

Meet the Guru

Su Internet, in Italia, siamo cento passi indietro. Lo dimostrano proposte di legge cieche e comunque un’utilizzo distratto.
Chi invece volesse comprendere cosa ci troviamo in essa dovrebbe andare almeno a leggere l’intervista di oggi sulla Stampa a Lawrence Lessig, esperto di diritto della rete e creatore del Creative Commons. Leggere per comprendere.

Dubbi amletici

Dopo la fiera della fotografia, di ieri, è tornata il desiderio da scatto. E la voglia di comprare finalmente una reflex seria.
Ho passato un pò di tempo a leggere dei depliant presi ieri ma non ne esco affatto da questa disputa. Meglio Nikon, Canon (o forse qualcos’altro!)?

P.s. Se li avete, accetto consigli!
Per gli amici di facebook un pò di foto della fiera sono li.

Una cosa qua, un’altra là

Dopo le considerazioni della settimana scorsa ho passato questo pomeriggio a trasferire un pò di attività sul televisore di casa.
Certo non sarebbe male se fosse tutto wireless e non dovessi passare per forza dal pc.

Messa 2.0

L’influenza del 2.0 la sento un pò ovunque oramai. Soprattutto quando non vedo la possibilità di controbbattere alle posizioni che mi sembrano vaghe, sbagliate o fuorvianti.
Mi accade durante il sermone domenicale, nel post settimanale del parroco di turno, quando alle dissertazioni sulla fede e sul difficile percorso verso la purezza spirituale si verte verso considerazioni di carattere politico.
Eppure, nonostante la mia frequentazione con parrocchie e scautismo, si tratta di una sensazione piuttosto recente, che avverto tanto più accesa quanto più mi vado spostando verso il nord di quest’Italia. Almeno, i preti che fino ad un paio di anni fa avevo avuto modo di incontrare, me li ricordo ben divers
Invece adesso mi verrebbe da interrompere il prete, mettendo un commento anche in calce al suo discorso, interrogandolo su alcune sue affermazioni e ammonendolo su quanto queste ricordino tempi in cui dai preti veniva l’accorata indicazione a votare per la DC e non per quei mangiabambini dei comunisti.
Calata cosi, senza quasi accorgersene, arriva la lode o il disappunto per certe discussioni del dibattito politico, e questa è sempre, perfettamente, schierata.
Oggi era il turno della benedizione al testamento biologico approvato in settimana, un testo in cui la libertà di coscienza fa veramente in vacanza in nome dell’imposizione dello Stato.
A me quest’atteggiamento avvilisce. Ragionamenti che la Chiesa ritiene corretti e che posso anche condividere, diventano deboli quando vengono imposti dall’alto. Indicano una debolezza della Chiesa stessa, che incapace di portare avanti la propria catechesi nell’incontro con i credenti vuole imporre le proprie convinzioni attraverso la politica.
Ricorda certe messe recitate in latino, e cosi tornate di moda con tutto il vintage, incomprensibili al popolo che non doveva comprendere per ragionare con la propria testa.
Per questa la mia idea di una messa 2.0, con un prologo di discussione, che non lasci certe frasi come macigni inamovibili, la vedo come una vera e proprio utopia.

P.s. Non parlo di discussioni da rimandare in altri spazi, che sono bene di esistere, ma proprio li, nel momento più partecipato.

Fede su Saviano

Quando ieri Saviano da Fazio parlava dell’appoggio dei giornali alla camorra e della lenta opera di screditamento che si mette in opera, avrebbe dovuto far vedere anche questo video.

A chi ha perso la puntata di ieri consiglio la visione sul sito della Rai.

Il fastidio più grande

Curioso notare che la reazione più comune, almeno tra la gente che ho incontrato negli ultimi due giorni, dopo la scarcerazione di Karl Ratz sia quella di fastidio.
Non verso quella che poteva passare per la lapidazione di piazza di un innocente. Piuttosto per il clamore che si sta dando alla sua scarcerazione e alla sua frequentazione dei salotti televisivi (gli stessi per i quali pochi giorni era un mostro). L’opinione comune è che non si tratti comunque di uno stinco di santo da beatificare, quanto piuttosto di un piccolo delinquente che comunque avrà altre colpe da espiare.
Dimenticando o ignorando totalmente che di colpe non se ne trovano.

Dopo due giri in metropolitana

Alcune delle idee su cui riflettevo a proposito di internet e delle esperienze ad essa legate, le ho trovate elaborate in quest’intervista a Clay Shirky di Luca Sofri. Mi sono sentito meno solo, nei miei due giri in metro, dopo averla letta.
Ne riporto cosi alcune parti.

Clay Shirky pensa che la rete sia una cosa meravigliosa. E che scambiarsi le foto dei gatti in rete sia meglio che stare seduti sul divano davanti alla tv. Passivi. [….]

Tu sei un po’ integralista con questa cosa che non possiamo rilassarci un attimo a guardare la tv: in quel tuo famoso articolo che ha fatto il giro del mondo fai capire che ogni minuto in cui guardiamo la tv piuttosto che arricchire Wikipedia è un minuto buttato.
Ma no, non dico questo. Dico che qualsiasi sostanza è velenosa in grandi quantità. La questione con la tv non è se guardarla o no: ma capire come sia diventata una specie di babysitter del mondo. Venti ore alla settimana o più di tv? Non è un po’ troppo?
Questa però non è un’analisi nuova…
Certo che no. Tra il 1950 e oggi la tv è diventata il mezzo, il più potente nella storia del mondo. E quello con la potenza di assorbimento più totalizzante. La radio non creava quello stato vegetativo nell’ascoltatore.
E tu quindi dici che “è meglio fare qualcosa che non fare nulla”. Nel tuo libro fai degli esempi di partecipazione che attraverso la rete hanno reso possibili archivi fotografici creati dal basso, o ricerche mondiali di un telefonino perduto. Tutte belle storie, ma hai anche esempi moralmente e concretamente più proficui? Iniziative partecipate impensabili prima, e che migliorano il mondo?
Ce ne sono moltissimi. L’anno scorso i fans di Josh Groban, il cantautore, hanno aperto una fanboard per fargli un regalo di compleanno: la raccolta di fondi per un progetto a favore degli orfani in Sudafrica. Hanno raccolto quasi cinquantamila dollari organizzando la cosa tra di loro e attraverso la rete. Senza gli strumenti della rete non ci avrebbero neanche potuto pensare. E quest’anno lo hanno rifatto. Ma non sottovalutare I progetti spontanei di condivisione apparentemente meno “importanti”.
Tipo?
Anche quando le persone fanno picccole fesserie frivole – mettere su Flickr foto di gatti e commentarle ed archiviarla asseieme – è meglio per me che stare a guardare la tv.
Dici? Non sarebbe meglio utilizzare quegli strumenti e quelle disponibilità per far qualcosa di più creativo, o più utile?
Se vedi il bicchiere mezzo vuoto e hai una visione utopistica del mondo per cui tutti potremmo fare grandi cose, le foto dei gatti sono una perdita di tempo: ma per come la vedo io è meglio che guardare la tv.
Così la fai facile, e suona bene. Ma non è che condividere le foto dei gatti genera un’infondata consapevolezza di partecipazione, un alibi per non fare altro? Se sto davanti alla tv almeno so che sto buttando via il tempo e mi sento in colpa…
Tu sei troppo ambizioso. Ti ripeto che è meglio fare qualunque cosa, sempre. E poi ognuno sceglie cosa fare degli strumenti che ha a disposizione, sta a noi farne l’uso migliore.
Già, ma il grande successo di Facebook in Italia è spinto dal messaggio che ci puoi trovare i compagni di scuola. Non sarebbe meglio spiegare che ci si possono fare grandi cose?
Ma si fanno grandi cose con Facebook! In California grazie al lavoro su Facebook hanno portato al voto a molti immigrati che neanche sapevano di averne il diritto. La partecipazione è questo, il creare delle iniziative dal basso e usare gli strumenti per farle crescere.
Non pensi che anche le élites abbiano il dovere di educare le masse? Non ridere, era una citazione. Capisci cosa intendo?
Sì. Ma non penso che internet sia utile in questo senso. Non credo sia questo il modo di sfruttarla. Io non credo alla perfezione e alle utopie e alla loro diffusione. Credo che il miglioramento sia in queste nuove opportunità.
Ma a non dovremmo farci qualcosa con questo miglioramento?
Dipende da chi siamo noi. Non credo che la società debba orientare o insegnare le cose, ma se parliamo di persone come me e te, e di cosa possiamo fare con le nostre idee: prendi Beppe Grillo e i suoi Meetup. Io non so come lo vediate in italia, ma non mi pare che le cose che ha fatto abbiano avuto molto sostegno dalle èlites
Questo è vero, ma io credo che quello che ha fatto Beppe Grillo sia stato un po’ frainteso dalla stampa internazionale. Qui però dovremmo discutere di Beppe Grillo e magari lo facciamo un’altra volta. Tu quindi pensi che l’uso del web nella comunicazione politica non sia un bluff…
No, non lo è. Basta avere chiaro di cosa si parla. La campagna di Obama ha dimostrato che era falso che il web servisse per il fundraising e non per l’organizzazione. Lui non ha educato le masse, ma ha usato un sistema di strumenti online per organizzarle e mobilitarle. Nel 2006 (alla vigilia dell’annuncio della candidatura, ndr) nessuno avrebbe scommesso un centesimo su un presidente nero. E la ragione della rivoluzione è stato il suo uso dei social media. In America i giornali hanno questo mito della neutralità: se solo i media tradizionali avessero seguito Obama e la sua campagna, gli elettori avrebbero continuato a percepirlo come un alieno senza una chance. Sono cose come i video di Will.I.Am e Obama Girl che hanno contribuito a renderlo un candidato plausibile.
[….]
Nel tuo libro smonti anche il mito dell’inaffidibilità degli utenti nelle iniziative partecipate. Dici che tu stesso hai perso pochissimo tempo a correggere cose false trovate in rete che avevano richiesto invece molto impegno per essere prodotte. Ma tu riesci a gestire in modo equilibrato tutte le cose diverse che la rete ti consente di fare, e il tuo tempo?
Il web è una macchina da distrazione. Sempre, quando si passa da un uso occasionale a un uso continuo di una cosa nuova, bisogna trovare un modo per mantenere l’attenzione e la concentrazione e non venirene travolti. C’è sempre un periodo in cui un nuovo media diventa disponibile abbondantemente in cui ne veniamo assorbiti, e il problema è reale.
A chi lo dici.
Non hai ancora visto niente. Ora mettono il wi-fi sugli aerei. La gente guarderà dei porno in volo sul Pacifico. Ma io credo che troveremo dei modi di adattarci.
E il tuo modo qual è? Come hai fatto a scrivere il libro, per esempio?
Ho fatto un paio di cose. Intanto ho tagliato molte letture: giornali, riviste, newsletter.
E quando fai così non hai paura di perderti qualcosa, che magari ti servirà?
Sì, e succederà per forza: ma ti devi abituare all’idea che non saprai mai tutto. È un’illusione da abbandonare quella per cui puoi seguire tutto quello che avviene.
No, io ci credo. Posso farcela. Anzi ora dovrei lasciarti…
E poi ho trovato degli spazi sicuri. A volte sono rimasto sulla metropolitana per due ore, perché mi distraevo meno che stando sul web. Facevo il giro completo della linea. Bisogna sapersi volontariamente staccare da tutte queste cose.
C’è un modo di dire, “vivi la vita appieno”: ma non sanno quanto può essere piena la vita. Invece devi abituarti all’idea che in ogni momento ci sono più cose belle da fare di quante ne potrai mai fare in tutta la tua vita. È frustrante, ma è la verità. “

Credo che a questo punto andrò presto a comprare il suo libro.

Prendere le misure

Qualche settimana fa mi era preso il desiderio di scappare da queste pagine. Essenzialmente per un motivo. Mi stavo facendo prendere la mano.
La possibilità offerte alla curiosità del momento erano, o meglio sono, cosi grandi che è cosi facile perdersi in questa macchina da distrazioni che è la rete.
Sembra quasi di poter possedere tutto quello che di più stimolante ci possa essere in quel momento per la curiosità di ognuno di noi.
Ed era cosi anche per me e me ne accorgevo dall’elenco spropositato dei feed a cui mi ero iscritto. Bastava un giorno di acque chete a lavoro per cadere in una sorta di dipendenza da lettura di informazioni. Spazi liberi da riempire che tendono poi a prendere il sopravvento sulla tua concentrazione, cosi tanto vogliosa di vie di fuga.
Per cui occorreva darci un taglio. La necessità di sapere doveva sostituirsi con la consapevolezza che tutto si potrà mai sapere. Qualcosa occorre tralasciarla dettando una mappa delle priorità.
E occorreva mettere ordine al mio multitasking. Per cui la prima regola da impormi era quella di imparare a fare una cosa per volta a cui dedicare la mia concentrazione. Totale, se possibile.
E poi ero stanco dei computer, che tra lavoro e spazi liberi, occupavano troppo tempo.
Perchè pur nella differenza di esperienze possibili, mi chiedevo se fosse possibile che tutte passassero per un’unico strumento. Esperienze attive, ben lontane dalla passività un pò ebete delle ore passate dalla tv, ma anche ben poco sociali. E non parlo di quel genere di socialità cosi tanto in voga attraverso Facebook e comparabili.
Esperienze che potrebbero essere vissute nella loro pienezza anche senza fissare lo stesso schermo del pc. Ho cosi cominciato a pensare che questa sarà l’evoluzione prossima futura, perchè ben presto prenderemo a stancarci di questa situazione e occorrerà diversificare. Guardare le web tv sulla tv, ascoltare le web radio su ipod, lettori portatili o in auto, leggere su un palmare o su uno strumento comunque semplice giornali e blog a prezzi plausibili, comunicare con i social network da ogni cellulare. Tutto ben alla portata anche ora, ma tenuto insieme in un’esperienza unica e flessibile come quella che oggi viviamo su un solo strumento. E’ solo una visione o lo scenario successivo?